Il romanzo rosa: il genere letterario che non conosce crisi.

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Poco tempo fa mi sono imbattuta in uno dei tanti libri con copertine e titoli accattivanti che ultimamente circolano a iosa nelle librerie del nostro bel paese, e mi sono trovata a constatare che il genere rosa ne ha fatta di strada dai tempi di Harmony, e che non conosce crisi. Ora viene proposto in una veste sicuramente molto più accattivante, dove storielle semplici e senza preteste fanno sognare schiere di adolescenti e signore che ancora si ostinano a credere che ogni uomo possa essere salvato. Il libro in questione “Tutti i difetti che amo di te” della croata Anna Premoli è, a parer mio, vera robaccia, nonostante si sia aggiudicato il “Premio Bancarella 2014”. Ma io dico, come si fa? Come si fa a premiare un libro dalla trama pressoché scontata ed inesistente, dove l’unica scena più elettrizzante è quando i due protagonisti cercano di uccidere un enorme ragno materializzatosi sulla parete, che per poco non fa venire un infarto all’aitante Ethan?.La storia è semplicistica a livelli che sfiora l’imbarazzante. Il giovane e ricco Ethan, per l’appunto, è un buono a nulla che ha trascorso tutta la sua vita a bere e a cercare di mettere in imbarazzo la sua famiglia. Alla morte di suo padre riceve in eredità il 15 % del pacchetto azionario dell’azienda di famiglia, e gli viene affidato un amministratore di sostegno affinché vigili che il denaro dei Phelps non venga sperperato tra alcol e feste. Dopo vari tentativi, si opterà per il bell’avvocato Sara Di Giovanni che riuscirà nell’intento anche se il giovane userà ogni mezzo per farla desistere. A lasciare molto a desiderare non è solo il plot, dove si evincono anche sprazzi di buoni propositi da parte dell’autrice nel cercare di portare a casa il compito, quanto il livello stilistico e la proprietà di linguaggio che rasentano il puerile, l’elementare e sfociano talvolta nel grottesco.

E’davvero un romanzo debole, senza nessuna vena di sarcasmo, di ironia, di ingegnosità, e va ad inserirsi all’interno di un interminabile filone di prodotti letterari fatti solo per vendere, che ha avuto il suo grande exploit con la trilogia di “Cinquanta sfumature di grigio”, e che in Italia vanta il primato nei libri di Federico Moccia. Gli ingredienti del genere rosa sono sempre i medesimi, e la Premoli mostra di essere recidiva in questo, infatti i suoi precedenti romanzi hanno sempre la medesima struttura. Si prendono due personaggi apparentemente agli antipodi, uno, in genere la donna, con una buona dose di parlantina e voglia di litigare, e gli si fa interagire insieme, dopo gli iniziali contrasti scoppia l’amore. Gli altri personaggi sono solo di contorno, non hanno una loro vita e non hanno una loro evoluzione, sono solo abbozzati a livello caratteriale e poi gettati lì, senza dare o togliere nulla al racconto, che è incentrato solo su due protagonisti. Di corale non vi è  nulla, nessuno si confida con nessuno e il travaglio misto all’alcol la fanno da padrone. Ora, quello che viene da chiedersi è: perché in pieno postfemminismo, dopo anni di lotte per l’indipendenza e la parità di genere, torni prepotente – ed abbia così mercato – un immaginario da Histoire d’O?. Perché in questi romanzi la donna, dipinta come un’impenitente crocerossina si sottomette al maschio alfa, per raggiungere l’unico vero scopo della sua esistenza ovvero quello di redimerlo e salvarlo da sé stesso? Forse dopo aver ottenuto tutto, la donna d’oggi novella Giovanna d’Arco, vede come ultima frontiera dell’emancipazione la sottomissione consapevole, giocando a fare la schiava di un uomo arrogante, capriccioso e annoiato. Forse tutta questa emancipazione ha reso la donna d’oggi arida e desiderosa di emozioni forti che solo il ritorno al suo vecchio ruolo può darle. Si può giocare con il fuoco, ma bisogna rendersi conto, al di là della fictio letteraria, che nella vita reale un amore bisogna meritarselo e non inseguirlo come un trofeo.