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Salvatore Violante, stimato poeta vesuviano, fa una recensione al libro d'esordio della nostra Antonella Bianco. Una lettura oltre le righe che denota estrema acutezza e spiccata sensibilità.

 

Già dal titolo Antonella Bianco, poeta in esordio, pare volerci indicare la piega che i volti debbano prendere in itinere: sembra che intenda, cantando e certe volte persino lasciandosi incantare da giochi sonori, mostrarne la fenomenologia disponendoli in chiaroscuro con il quotidiano, con le attese dal quotidiano. “Il risvolto dei volti”, questo è il titolo con cui la Nostra ha pubblicato per i tipi di Italic, nell’ottobre del 2019, recita nel testo-dedica d’introibo: - Ai 1000 volti incontrati una sola volta, / a chi per volere o per destino è dietro l’angolo capovolto, / ai voltafaccia della vita e alle facce rivolte alla vita, / a chi fa del giorno nuovo la propria svolta. – (pag. 5). Sembrerebbe indicare una via al vivere: quella di non sottovalutare gli scarti tra i neuroni che generano empatie e quelli che invitano al prudente buonsenso, tra l’intelletto d’amore e quello di ragione e di accettare l’interscambio come un insieme di uguali fra uguali: - Tutto ti appartiene tutto è parte di questa vita di questo/ mondo: vivi e sii intero – (pag. 7). C’è tutto questo certo ma c’è anche, di fatto, che questo libro viva di vita propria palesando, in generale, una poesia delicata, sussurrata in confessionale, dove non c’è suono ma risuono, non pianto ma rimpianto, dove l’amore è presente come assoluto nelle cose, è un bisogno, una tensione, una energia che per sua natura provoca combustione e cenere, freddo e tormento, melanconia per la perdita, e urgenza di ritrovarlo. -Non ti conosco ma ti amo/ con l’esperienza della fine. / in un’altra vita / -ti giuro- / avremo altri volti da iniziare. - Vedete, qui c’è l’esperienza della fine ma anche la promessa e la premessa del cambiamento: ansia di vita nuova e di nuovi portamenti, e, finanche, l’iniziazione di volti nuovi. A guardar bene, l’amore rappresenta l’arco voltaico da cui esplode la poesia di Antonella Bianco. Ѐ lo scarto che in questo libro si configura tra il fenomeno in fieri e l’aspettativa vagheggiata, tra l’amato toccato e l’amore mitizzato. Poli opposti: c’è tutta l’energia che si configura in fantasmi sempre in moto, un andare e venire tra cielo e terra, uno sfiammare simile all’arco di liceale memoria. (…) nel nostro amore al buio / Ci tocca mettere le mani sui volti / Per riconoscerci ad ogni appuntamento. (… / Ci sembra quasi un sogno finito / male, questo bellissimo incubo / di noi girati di schiena a guardarci. (…) (pag. 21). In questo guardarsi senza vedersi, stando di schiena, si coglie la struggente angoscia per la caduta del mito. Nella quarta di copertina, anch’essa scritta dalla Bianco, si legge: -Ѐ la paura di invecchiare a mischiarsi alla paura di non essere riusciti ad amare. Esplode. C’è un sogno cattivo che non mi abbandona: il perderti e il perdermi. Se io non ci sarò quando tu verrai e se la corrente mi avrà condotto altrove. (…). - Ovviamente, con queste frasi, la Nostra dialoga con “Amore”. La Bianco è terrorizzata dallo scarto che sempre trova tra le storie reali e quelle sognate. In questo scarto c’è l’esplosione che si trasforma in malinconico tormento: da qui la figurazione di Amore che arriva mentre Lei sta per perdersi non sapendo amare, confusa dal fluire della storia (con la lettera minuscola) sua e del mondo, facendo così ontologico il suo disagio.

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La prestigiosa sede del museo archeologico territoriale di Terzigno (MATT) ha fatto da cornice alla presentazione del libro "Caccia agli invisibili". Un romanzo nato dal sinergico rapporto tra la penna di Francesco Romeo e la felice intuizione del sostituto commissario Carmine Gatti, nonché presidente dell'Associazione "Insieme tra la gente", libro già insignito della fondazione Antonio Caponnetto quale "libro anomalo". La presentazione- evento voluta dal primo cittadino Francesco Ranieri è stata organizzata grazie al fattivo contributo del presidente del consiglio comunale di Terzigno Giuseppe De Simone. "Abbiamo colto l'occasione quando, nelle settimane scorse, Carmine Gatti ci prospettó l'opportunità di organizzare questo evento che ha la duplice valenza - ha dichiarato il sindaco Ranieri-, da un lato si favoriva la crescita culturale e contestualmente si seminavank valori fondanti come la legalità in una struttura simbolo della memoria vesuviana quale è il MATT. Per questo abbiamo colto favorevolmente la proposta di Gatti". Gli fa da eco il presidente del consiglio comunale : "Abbiamo inteso proseguire il percorso per favorire la cultura della legalità che stiamo portando avanti con eventi del genere - precisa Giuseppe De Simone - questo appuntamento ha rappresentato un'occasione unica per poter mettere a confronto uomini e donne dello Stato impegnati in prima linea. "Deve essere motivo di orgoglio per la nostra realtà aver accolto personalità di altissimo profilo con le quali si sono trattati argomenti legati alla giustizia ed alla legalità - sottolinea il consigliere Tina Ambrosio". Sull'argomento è intervenuta anche l'assessore alla cultura Genny Falciano: "È una giornata importante per la nostra Terzigno, in questo luogo dove si conserva la nostra memoria, conserviamo anche questo evento e la viva voce di chi ha sacrificato e sacrifica la propria esistenza, affinché la legalità non sia un concetto astratto ma una tangibile priorità delle libere istituzioni". Molto apprezzati gli interventi, degli autori Francesco Romeo e Carmine Gatti che hanno illustrato la genesi di questo volume in cui si riscrivono gli anni bui della guerra tra i clan camorristici e la nascita della Direzione Investigativa Antimafia al fine di arginare l'escalation di violenza. Anni di guerre di quartiere e di migliaia di vittime lasciate sul campo per affermare l'egemonia camorristica nei territori vesuviani. Presente il capo della DIA Dott. Lucio Vasaturo che ha evidenziato l'utilità del lavoro sinergico Interforze tra l'intelligence delle Polizie ad ordinamento civile e militare e quanto lungimirante sia stata l'intuizione di Falcone. Ha lasciato attoniti gli astanti l'intervento del dirigente dello S. C. O Dott. Alfredo Fabbrocini, terzignese d'origine ancora legato a questa terra. Fuori dal coro l'intervento del presidente dell'ordine degli avvocati di Nola Avv.to Domenico Visone il quale, ha ricordato che gli anni difficili della lotta tra clan tolse di fatto serenità alla sua generazione. Il Procuratore aggiunto Dott.ssa Di Monte ha evidenziato quanto prezioso e difficile sia il lavoro degli uomini della DIA e quanti sacrifici si nascondono per portare al termine una missione alla ricerca di pericolosi latitanti. Dalla Di Monte una domanda provocatoria tesa a fronteggiare il muro dell'omertà :"come hanno fatto per anni i boss dell'area vesuviana a nascondersi facilmente senza che nessuno si accorgesse mai di nulla?" In chiusura l'intervento dell'assessore Alfredo Ranieri che ha interpretato un brano del romanzo dedicato all'omicidio del giornalista Giancarlo Siano. Serata ricchi di spunti da parte di uomini dello Stato presenti in sala come l'ex questore di La Spezia Francesco Di Ruberto e gli angeli in divisa Nello Odierna e Raffaele Gragnaniello i quali, unanimemente, hanno criticato gli scritti di Roberto Saviano. Un evento che difficilmente verrà cancellato dalla memoria dei terzignesi grazie anche alle capacità oratoriali del moderatore Genny Galantuomo che ha sapientemente coordinato la serata.

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Fedele Temperini è il nome del soldato che salvò la vita ad un giovanissimo Ernest Hemingway, durante la I Guerra Mondiale. La trincea sull’argine del Piave, a Fossalta, dove il giovane della Croce Rossa si era recato per portare cioccolato e sigarette ai combattenti e per raccogliere cronache di guerra, venne colpita nella notte dell’8 luglio 1918 da un colpo di mortaio partito dalle linee austriache che dilaniò il corpo di un giovane militare che si trovava di fronte al giornalista, facendogli da scudo. Tuttavia, Ernest rimase gravemente ferito. Condotto nell’ospedale da campo e scongiurata la sventurata ipotesi del taglio della gamba, causa cancrena, Hemingway guarì e trasferì tutta la sua avventura in quel piccolo cimelio che è “Addio alle Armi”. Secondo il biografo James McGrath Morris, Fedele Temperini era originario di Montalcino e mai identificato prima d’ora. Lo stesso Hemingway non lo cita nel suo romanzo semi autobiografico forse perché, probabilmente, egli stesso non ne conosceva le generalità. In un libro uscito nel 2017, «The Ambulance Drivers: Hemingway, Dos Passos, and a Friendship Made and Lost in War», McGrath Morris ha raccontato l’esperienza e l’amicizia dei due giovani americani guidatori di ambulanze (e futuri scrittori) durante la Grande Guerra. In fondo al libro, ricorda il biografo, «avevo trascritto i nomi dei 18 soldati italiani che secondo i documenti ufficiali erano morti in battaglia nella notte in cui Hemingway fu ferito». Da quei diciotto nomi, «con l’aiuto dello storico Marino Perissinotto, siamo riusciti a individuare quello del giovane soldato che salvò la vita a Hemingway». Identificando i luoghi dove erano dislocati i reparti dei 18 soldati, la caccia si restringe a tre che sono caduti in quell’area l’8 luglio. Due appartenevano al 152° Reggimento di Fanteria della Brigata Sassari, che però si trovava a qualche distanza dal Piave. Il terzo invece era del 69° Reggimento della Brigata Ancona, che stazionava proprio sulla prima linea, a Fossalta, «nella zona dove si registrarono i combattimenti più duri». È questo terzo soldato caduto «il salvatore» di Hemingway, secondo la ricostruzione di McGrath Morris e Pessinotto: i registri dell’esercito riportano il nome di Fedele Temperini, di Montalcino, in Toscana. Aveva 26 anni, Fedele, uno dei 600 mila ragazzi che morirono facendo muro all’avanzata austriaca sulla linea del Piave. Il sacrificio di questo valoroso soldato ci ha permesso, oggi, di godere dei lavori di un appassionato cronista e di un pregevole scrittore come Hemingway, afflitto da una turbolenza interiore che lo spinse a viaggiare di continuo senza mai trovare pace, salvo che nella scrittura. Un uomo forte ma al contempo fragile. Ricco di contraddizioni e zone d’ombra, proprio quelle ombre che lo spinsero, un mattino del 2 luglio 1961, a togliersi la vita sparandosi un colpo di fucile.
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“1984” il celebre romanzo di George Orwell e pietra miliare della letteratura distopica del Novecento compie 70 anni. All’indomani della fine della II Guerra Mondiale, il globo ci appare diviso in tre grandi continenti: Oceania, guidato dal Grande Fratello che ha le sembianze di Hitler e Stalin, l’Eurasia e l’Estasia. Tutti in guerra tra di loro e possessori della bomba atomica. In Oceania vi è un dissidente, Emmanuel Goldstein, identificabile nel russo oppositore Trotzkij, che vorrebbe sovvertire il potere e rendere gli uomini e le donne che vivono nel terrore finalmente liberi. Ma nulla può contro la martellante ed ossessiva propaganda messa in campo dal Grande Fratello che costringe i suoi “sudditi” a vivere costantemente con la radio accesa che trasmette ininterrottamente messaggi di propaganda filo governativa atta ad alienare e rendere fuorviante ogni possibile sentimento di dissenso. Il GF assicura felicità, gioia, zero problemi e a poco a poco toglie alle persone un pezzetto sempre più grande di libertà. L’allegoria è facilmente intuibile. Orwell, da sempre contrario ad ogni forma di oppressione e dittatura, lancia in “1984” una fortissima invettiva contro i totalitarismi, che siano di destra o di sinistra. In entrambi i casi sono pericolosi e nocivi. Conducono le folle all’adorazione facendo leva su sentimenti bassi, quali il rancore, l’odio verso l’altro, il risentimento. E le coscienze possono essere plasmate solo attraverso la perdita del senso critico e della capacità di avere un proprio pensiero trainante. L’insidia maggiore, infatti, risiede nella cultura. Per questo in Oceania tutto è positivo, a partire dalla “neo lingua” e dal “bispensiero”. Non esistono termini o aggettivi negativi nel nuovo linguaggio creato dal Grande Fratello e tutto è all’apparenza impeccabile. Lo scenario apocalittico teorizzato da Orwell è oggi diventato una realtà. Il livellamento del lessico diventa sempre più facile, semplice, colloquiale e mira a creare una società senza guizzi, senza slanci e dunque facilmente manipolabile da questa entità suprema che è incarnata dal Grande Fratello in 1984, e nella rete, ai giorni nostri, che fagocita i nostri pensieri e ci rende sottomessi e “gestibili”, al pari delle marionette.
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Il fumetto Tintin compie 90 anni

Giovedì, 10 Gennaio 2019 17:10 Scritto da
Il celebre giornalista ed esploratore Tintin, nato dalla matita del belga Hergé, compie oggi 90 anni. Ricorre, infatti, il 10 gennaio 1929 la pubblicazione della sua prima avventura - Tintin nel Paese dei Soviet – sul giornale “Le Petit Vingtième”. Un successo editoriale enorme per Bruxelles e per il Belgio che verrà ricordato con mostre e nuove vignette, tutt’ora amato ed apprezzato in tutto il mondo. Un successo che ha ispirato un grande merchandising: come ad esempio i pupazzi che lo raffigurano da solo o in compagnia del cagnolino Milou. Un personaggio ancora attuale per la sua sete di conoscenza e voglia di viaggiare che lo ha portato in mete esotiche o fantastiche, come quando passeggiò sulla Luna nel 1953, ben 16 anni prima dell’astronauta Neil Armstrong.