Se la prima puntata dei Medici, in onda ogni martedì sera su Rai uno, mi aveva lasciata piacevolmente impressionata seppur con qualche riserva, la seconda mi ha definitivamente conquistata. Non solo per la freschezza di una scrittura dinamica che va a sciacquare i panni nelle sacre acque della Hbo, canale americano che produce le serie più coinvolgenti degli ultimi anni, ma svecchia di fatto il linguaggio Rai allontanandolo dal bigottismo a cui ci eravamo abituati negli ultimi tempi. Assistere a svariate scene di nudo sia etero che omosessuale non ha precedenti per la nostra storia televisiva. La serie narra le vicende di Cosimo (Richard Madden) primogenito di Giovanni (Dustin Hoffman) ed erede dei Medici che, suo malgrado, si ritrova a dover accantonare i sogni d’artista per gestire la banca di famiglia. Cosimo è un uomo di indubbio carisma, capace di trarre sempre il meglio da ogni situazione, molto religioso, ma questo non lo esula dal commettere efferatezze per opera del suo braccio destro Marco Bello (Guido Caprino). Costretto ad un matrimonio combinato con la nobile Contessina de’ Bardi, con la quale avrà un rapporto che oscilla tra l’amore e la forzata sopportazione, Cosimo sfoga tutto il suo genio creativo nella sovvenzione di grandi opere che possano dare gloria a Firenze e lustro alla famiglia Medici; come la cupola autoportante del Brunelleschi. Acerrimo nemico di Cosimo è Rinaldo degli Albizzi che, accusandolo di praticare l’usura, gli metterà contro l’intera Signoria. Alla fine gli verrà risparmiata la vita, ma verrà mandato in esilio a Venezia. I costumi, le scenografie, i dialoghi e il doppiaggio sono, a mio avviso, ben riusciti. L’uso smodato dei flashback per raccontare Cosimo da giovane appaiono smodati nella prima puntata e decisamente contenuti in seguito. Sono stati riscontrati alcuni svarioni ed inesattezze storiografiche, ma sarebbe assurdo pensare di poter imparare la storia di questa grande famiglia attraverso una fiction, per il semplice fatto che il termine stesso “fiction” contiene al proprio interno la pregiudiziale della fallacità, in quanto è unione osmotica di realtà e finzione. La serie tv può dare le linee guida, instillando nel telespettatore la curiosità a saperne di più. E’ normale che all’interno dell’economia del racconto e, al fine di rendere la trama più appetibile, vengano inseriti elementi che si discostano dalle pieghe originarie del racconto: ad esempio il piccolo giallo sulla morte di Giovanni de’ Medici. Gli ascolti altissimi hanno premiato il prodotto e all’estero si sono dannati l’anima per beccare un streaming degno di questo nome. Una volta tanto anche loro sanno cosa si prova.
Dieci cose è il nuovo programma di intrattenimento del sabato sera di Rai Uno condotto da Flavio Insinna e Federico Russo. L’ex vj di Mtv e il conduttore dei “pacchi” ce l’hanno messa tutta eppure l’esperimento di ritorno al varietà è risultato indigesto al pubblico nostrano che l’ha premiato con ascolti fiacchi. Il format è semplice quanto banale. Due ospiti in studio si raccontano attraverso una classifica delle 10 cose importanti della loro vita inscenate attraverso coreografie, filmati ad hoc, musica dal vivo e duetti canori. Il lancio di ogni “cosa” spetta alla storica annunciatrice Rai Rosanna Vaudetti instillando, da subito, il ritrito effetto “come eravamo” tanto caro a mamma Rai. L’attingere costantemente e ripetutamente al passato è spia del fatto che, purtroppo, non si è in grado di mettere a punto uno show all’altezza di quelli di un tempo. La conduzione melensa ed ossequiosa di Insinna non aiuta in questo senso. La sua presenza è talmente ingombrante da fiaccare anche il più piccolo proposito di Russo di adottare uno stile di conduzione “giovane.” La classifica, elemento vetusto ed antiquato, è l’ultimo dei problemi. Sarebbe anche un’idea carina se sciorinata in maniera meno manierista, tagliando, magari, il puntuale talk esplicativo: lungo e monotono. A parte l’improponibile orario di messa in onda - le 20.35, che è infelice quanto sadico, visto che la trasmissione termina alle 23.30 passate - quello che sega le gambe a Dieci cose è proprio il talk. Un inutile chiacchiericcio con conseguente entrata di ospiti in studio che restano la durata di pochi minuti che risultano più molesti che utili. Se non si vuole la chiusura prematura dello spettacolo sarà opportuno apportare alcuni cambiamenti, dando corpo ad un prodotto più dinamico e meno dilatato, più frizzante e meno “polpettone della nonna”, più da sabato sera e meno da infrasettimanale sfigato. Se la Rai non dovesse riuscire nell’intento può rispolverare, come extrema ratio, un Don Matteo d’annata che, sarà pure visto e rivisto, ma garantisce sempre ottima resa con il minimo sforzo.
“Il sogno di Francesco” il nuovo attesissimo film che racconta la vita e le opere del fraticello di Assisi sarà in tutte le sale a partire dal 6 ottobre, dopo l’anteprima ad Assisi, per la regia di Renaud Fely e Arnaud Louvet. A dare volto ed anima ad uno dei personaggi più rappresentativi ed enigmatici della cristianità non poteva che essere uno degli attori più talentuosi del cinema nostrano: Elio Germano assieme ad Alba Rorhwacher nei panni di Santa Chiara. L’attore romano, non nuovo ad interpretare personaggi dotati di un mix esplosivo di carisma e personalità - non ultimo citiamo la superba interpretazione di Giacomo Leopardi - ha portato sullo schermo tutta la forza espressiva di un Francesco laico, prediligendo la figura dell’ uomo a quella del santo. Il film racconta di Francesco e dei suoi compagni, del conflitto tra sogno e realtà istituzionale, della 'Regola', cioè la vita che scelgono di condurre i frati, della sua strenua battaglia per la pace, tratteggiando il rapporto conflittuale con Elia da Cortona, uno dei primi seguaci di Francesco, con il quale condivideva la fede ma non la medesima visione che avrebbe dovuto assumere l’Ordine. Elia, profondamente distante dall’utopismo del maestro, è molto più pragmatico, realista, si rende conto che per proseguire nell’evangelizzazione c’è bisogno di una Regola mentre Francesco propendeva per vivere il vangelo, passateci il termine, in maniera quasi anarchica. Ma è proprio in questo che risiede la forza del santo, nel farsi “ultimo tra gli ultimi” per rieducare una chiesa completamente alla deriva e rosa dagli egoismi interni, reggendone il peso sulle sue fragili spalle. «È il film più francescano mai fatto su di lui - ha commentato Germano - perché non mette al centro Francesco, ed anche lui stesso del resto non voleva passare per santo, e perché racconta l'esperienza degli altri suoi compagni, in precedenza sempre messi in ombra. Rispetto alla tradizione cinematografica, dal mio studio sul personaggio è venuto fuori un uomo che non lotta con i demoni. È, invece, un Francesco risolto che fa del suo esempio personale un modo per comunicare, mettendosi al di sotto delle cose. Per lui i poveri erano un modello da imitare, non da salvare. Francesco ha tanti fratelli e forse non sa cos’è l’amicizia. Il suo è un percorso di amore universale. I rapporti esclusivisti sono banditi” sottolinea ancora Germano, che si è detto profondamente onorato di vestire i panni del “giullare di Dio” tanto da assorbirlo fino a diventare una cosa sola con il personaggio, in un processo graduale di emulazione che sfocia in un lavoro “vibrante”».

Un medico in famiglia 10 vince ma non convince

Venerdì, 09 Settembre 2016 16:53
Parte con il botto la decima stagione di Un medico in famiglia in onda tutti i giovedì sera su Rai Uno. La serie più amata e longeva della televisione italiana fa registrare buoni dati in termini di ascolto ma fiacca, per non dire ammazza, le speranze di assistere ad un qualche rinnovamento che non sconfini nello scopiazzo e nel nonsense. Il fulcro centrale di queste dodici puntate sarà la dubbia paternità di Anna. Ebbene sì, sarà la giovane diciottenne Martini a tenere banco contesa tra il padre putativo, Lele, e il presunto genitore biologico Valerio Petrucci che scopriamo essere stato l’amante della defunta Elena, prima moglie del dottor Martini. Dopo venti anni di assenza Petrucci torna a Roma ed invia un messaggio al suo grande amore mai dimenticato, convinto di trovarla ancora viva e vegeta in quel di Poggio Fiorito, quando scopre che così non è, gli viene il dubbio (dopo venti, e dico, venti anni) che forse il figlio che aspettava all’epoca potrebbe essere suo. E già qui siamo di fronte ad un cratere narrativo di proporzioni gigantesche, quasi quanto le buche di Roma. Ci sta che l’uomo abbia trascorso gli ultimi anni all’estero – che poi è stato a Londra, mica in Papuasia – ci sta che in questo enorme lasso di tempo non sia mai passato per Roma neppur per sbaglio, ma è assurdo che un uomo possa convivere con questo rovello della paternità senza volerlo approfondire prima, nonostante la donna, all’epoca dei fatti, avesse scelto di restare con il marito. Ecco, questo ingranaggio poco oliato pare stridere con il resto della storia che, di fatto, è sempre la solita solfa che si ripete. Lele è di nuovo protagonista di casa Martini e non solo. Dovrà tenere a bada i figli, che spuntano fuori come conigli da un cilindro, gli specializzandi, entrati nell’organico della clinica, la moglie Bianca attualmente in Francia con l’ultimo arrivato Carletto e nonno Libero che a sua volta si barcamenerà tra nipoti adolescenti afflitti dai primi amorazzi e piccoli e grandi problemi di tutti i giorni come la new entry Maddalena; figlia di un suo amico scappato a Cuba con l’amante, che avrebbe l’ardire (almeno sulla carta) di sostituire la mai dimenticata Cettina e il suo precedente rimpiazzo Melina, ma sulle prime si dimostra incapace di fare sia l’una che l’altra cosa. La decima stagione ha qualcosa di già visto, oltre ai rimandi alle serie oltreoceano - vedi Grey’s Anatomy - con il nuvolo di specializzandi e le vicissitudini di Lorenzo e Sara, un po’ avulsi dal contesto generale, almeno in queste prime due puntate. Ma Un medico in famiglia non strizza l’occhio solo alle series ma attinge anche da se stesso, dunque si auto plagia, dimostrando di non poter fare a meno dell’aeroporto, che si conferma ambientazione preferita della scena di apertura di queste due ultime stagioni. Nonostante questo sono convinta che in futuro la fiction continuerà a macinare audience perché tutto sommato, quello del medico, è un format rassicurante, abbiamo quasi un’affezione per questi volti che ci fanno compagnia da circa venti anni e nonno Libero, malgrado tutto, riesce sempre, nel bene o nel male, a strapparti una risata. Ma quando gli autori vanno ad infognarsi nel passato pescando una storia tanto assurda quanto greve, significa che, alla lunga, le idee scarseggiano e in quel caso, più che accanirsi, sarebbe meglio staccare la spina.
Sono due le cose che ti colpiscono la prima volta che ti rechi a Guardia Piemontese: le note sulfuree che si mescolano alla brezza marina e il verde smeraldo del mare. Il nostro itinerario ci porta oggi in una cittadina occitana sorta nel cuore dell’alto Tirreno cosentino moltissimi anni fa e che ieri, come oggi, ti cattura e ti tiene legata a sé. Uno specchio d’acqua limpida Il mare di Guardia è considerato, a ragione, l’ottava meraviglia del mondo. Il colore del fondale va dal verde all’azzurro fino a mescolarsi in una nuance di tonalità che ti lascia senza parole. Lo scoglio maestoso ti invita ad accoccolarti sulle sue rocce calcaree impreziosite dal muschio della vegetazione e lo sciabordare delle onde ti dona un senso di assoluto relax. Una città nata nel XII secolo Guardia Piemontese venne fondata da alcuni rifugiati valdesi provenienti da Bobbio Pellice, in Piemonte intorno al 1300. Fuggiti da persecuzioni religiose, trovarono, in queste terre, accoglienza e il luogo ideale dove far crescere e prosperare la propria comunità, diventando ben presto un fulgido esempio di integrazione. Centro storico La pavimentazione in pietra ti introduce nel centro storico, piccolo, caratteristico che ha saputo conservare intatta la conformazione di un tempo. I negozietti di artigianato locale lo arricchiscono e gli conferiscono l’aspetto di una graziosa bomboniera. La torre di avvistamento contro le incursioni saracene svetta fiera a dominare l’intera vallata. Le porte di accesso a quella che era l’antica cinta muraria sono numerose, tra le quali spicca la Porta del Sangue in ricordo dei giorni di repressione a cui vennero sottoposti i valdesi in seguito alla loro adesione alla riforma protestante. Nella notte del 5 giugno 1561, infatti, vennero trucidati centinaia di valdesi per mano di soldati cattolici. Tradizioni Fino a non poco tempo fa veniva indossato, dalle donne del luogo, il costume tipico occitano che si presenta in un duplice aspetto: quello di tutti i giorni chiamato tramontana e quello da sposa denominato dournë. La linea sartoriale ricorda l’abitello penitenziale, di origine spagnola, imposto ai guardioli dopo la strage del 1561. L’occitano è un idioma molto antico con influenze elleniche che si andarono a mescolare a quelle dei romani quando questi invasero la Gallia e il latino si insinuò fortemente nella lingua d’origine. Ad oggi, il guardiolo, costituisce l’ultimo avamposto linguistico occitano nel meridione d’Italia. A tal proposito la visita al Museo valdese di Guardia Piemontese è d’obbligo. Terme Luigiane Sorgono tra Acquappesa e Guardia ed offrono un servizio d’eccellenza per quel che concerne la cura del corpo con stabilimenti sono dotati di ogni confort. Al proprio interno potrai trovare un cinema, l’area ristoro, animazione, spettacoli e molto altro. Per le tue vacanze settembrine scegli Guardia Piemontese, non te ne pentirai.

Copanello, dove la vacanza profuma di magia

Lunedì, 08 Agosto 2016 16:48
Ci troviamo nella provincia di Catanzaro e più precisamente a Copanello, frazione di Staletti, un luogo che definire etereo sarebbe fargli un torto. E’ la dimostrazione lampante di come non riusciremo mai a spiegarci il mistero che avvolge il creato. E’ stata denominata, a ragione, la Perla dello Jonio catanzarese per le sue spiagge sabbiose, il mare limpido - perfetto per lo snorkeling - i fondali pescosi e la sensazione di pace che ti pervade una volta che ti trovi a stretto contatto con il blu cobalto del mare. E’ davvero il luogo ideale per riconciliarti con il mondo. Quando la leggenda si mescola alla storia Situata lungo la Costa degli Aranci o dei Saraceni, Copanello fece parte per lungo tempo dei possedimenti del politico e scrittore latino Cassiodoro che attribuì la fondazione della città di Squillace nientemeno che ad Ulisse, dopo il suo arrivo nel paese dei Feaci. Naufragato nei pressi della foce del fiume Alessi (tra Copanello Lido e Squillace Lido) avrebbe incontrato qui la giovane Nausicaa, figlia del re Alcinoo, che dimorava in questa zona ed è per questo motivo che il tratto di costa da Copanello a Catanzaro Lido è chiamato oggi Riviera di Nausicaa. Siti archeologici E’ possibile ammirare innumerevoli reperti di epoca tardo-romana come la piccola cappella triabsidata di San Martino, unica vestigia paleocristiana calabra ed identificata come la tomba di Cassiodoro. Le vasche di Cassiodoro rappresentano un fulgido esempio di acquacoltura. Si tratta infatti di tre bacini dove la scogliera, creando più anelli, ingloba dentro di sé l’acqua del mare, e si ha la sensazione di fare il bagno in una piscina naturale. Potrai ammirare, inoltre, la celebre Rotonda sul mare che ispirò a Fred Bongusto la famosissima omonima canzone. Nella vicina Staletti sono ancora visibili i resti dell’antico Monastero Vivariense, fondato da Cassiodoro e che rappresenta il primo esempio di università cristiana d’Occidente. Di notevole rilievo le altre testimonianze archeologiche come la chiesa di Santa Maria Vetere, i resti del castrum bizantino, l’antica via romana e la Fontana di Cassiodoro attigua al Casino Pepe, vetusto ninfeo romano ed in seguito cristianizzato all’epoca di Gregorio Magno. Imperdibile visita al Museo Naturalistico “Libero Gatti.” Tanti paesaggi per un unico panorama La conformazione paesaggistica ti assicura un colpo d’occhio impareggiabile. Le colline lussureggianti fanno da raccordo alla flora e fauna locale di stampo mediterraneo, ricca di colori e profumi, mentre i promontori di granito bianco, degradando verso il mare, creano degli arenili sabbiosi totalmente naturali e perforati dall’azione corrosiva del mare che regalano magnifiche grotte tra le quali spicca quella di San Gregorio sita in località Caminia. La costa, impreziosita da scogli a picco sul mare e da rocce alte, è drappeggiata da lunghe barbe di capperi, fichi d’India, euphorbie, corbezzoli e garofani selvatici insieme a piccoli boschetti di eucaliptus che inondano l’aria con il loro profumo acre che sa selvatico e di naturale. Vita notturna Per la sera le possibilità sono infinite. Passeggiata sul lungomare, breve incursione nella vicinissima Stiletti oppure capatina a Catanzaro che dista una manciata di chilometri. Lì potrai trovare locali, bar alla moda, musica, movida e una serie infinita di negozi pronti a soddisfare la tua voglia di shopping.

Vacanze 2016, perché scegliere Soverato

Martedì, 02 Agosto 2016 16:45
Se sei stanco della solita vita in città, del traffico, del caldo torrido che ondula l’asfalto e ti fa sudare come un beduino nel deserto, ti consigliamo di prendere armi e bagagli e trasferirti al mare. E non c’è niente di meglio che spendere del tempo in una delle località più gettonate dello Jonio calabrese: Soverato. “I mari sono la prova tangibile che Dio ha pianto della sua creazione.” La purezza delle acque, le spiagge chilometriche sempre pulite e dalla sabbia bianca fanno di quest’area una delle più incontaminate d’Italia. Il mare è popolato da una colonia di Cavallucci marini e dal pesce ago, tant’è che è stato istituito il Parco Marino Regionale “Baia di Soverato” con lo scopo di tutelare la biodiversità. I più allenati possono raggiungere a nuoto lo scoglio di Pietragrande, una conformazione rocciosa posta dinnanzi alla costa di Staletti. Il lungomare non è una semplice sfilata con vista su uno dei mari più belli al mondo ma è una vera e propria passerella di locali, bar, negozi, ristoranti atti a soddisfare tutte le tue esigenze. Alcuni cenni storici. Incastonata nel Golfo di Squillace, Soverato sorge poderosa nella provincia di Catanzaro e, dalla sua fondazione, attraversa varie dominazioni che lasciano segni tangibili sul territorio. Innanzitutto sicula, come si evince dalle tombe funerarie rinvenute in località San Nicola; in seguito greco-romana e ne sono prova alcuni basamenti di magazzini utilizzati per la conservazione dell’olio e dei cereali e alcune monete. I normanni introdussero le Contee Feudali, mentre gli Svevi prima e gli Aragonesi poi, passando per gli Angioini, contribuirono a renderla ricca e prospera. Le incursioni saracene e il saccheggio ad opera di Bascià Cicala nel 1594 la indebolirono ma, ad oggi, Soverato è una cittadina che ha fatto della sua storia e del turismo il fulcro della propria economia. Tre imperdibili monumenti. La Torre di Carlo V è una torre di avvistamento eretta al fine di difendere il territorio dall’avanzata dei turchi. Affaccia sul Mar Jonio su di uno sperone a nord di Soverato ed è una delle 339 Torri costiere del Regno di Napoli edificate nel corso del tempo lungo le coste del Mezzogiorno, a difesa del regno. La Chiesa Matrice di Maria Santissima Addolorata venne edificata in seguito del terremoto del 1783 e custodisce al suo interno la formella raffigurante l’Ecce Homo e la celebre Pietà entrambe di Antonello Gagini. Immancabile tappa al sito archeologico di Soverato Vecchia, alle Rovine di Poliporto, porto di epoca greco-romana, in località San Nicola, alle tombe sicule e alle Grotticelle. Stiamo parlando di un complesso di età pre-ellenica rinvenuto dai greci intorno al VIII secolo a.C. Sono delle piccole insenature ricavate nella roccia che avevano la funzione di catacombe per i Sikela, popolazione che credeva nell’immortalità dell’anima e nel culto della Madre Terra. Artigianato locale. Le ceramiche fatte e dipinte a mano sono da sempre il vanto e il simbolo di questa città. I negozietti tipici brulicano di souvernirs di tutte le forme e dimensioni, di terrecotte ma anche di profumi, essenze e cibi tradizionali. Non c’è niente di meglio che portarsi a casa un ricordo del luogo in cui si è stati, è come avere sempre con sé un pezzo di quel posto che ti ricorda tutte le emozioni che hai vissuto.
Scogliere scoscese e selvagge, piccole calette, spiagge dalla sabbia finissima con nuance dal giallo dorato al rosso corallo, mare dai colori cangianti, fondali che ospitano esemplari di flora e fauna protetta e tutto intorno vegetazione spontanea e macchia mediterranea. Non stiamo sognando, questo posto esiste davvero amici, è Isola Capo Rizzuto. Il nostro viaggio ci porta, quest’oggi, nella provincia di Crotone per scoprire un luogo etereo, quasi divino. Le leggende narrano che… Secondo la leggenda la fondazione della cittadina avvenne per volere di una delle sorelle del re Priamo di Troia, Astiochena, che volle edificare un centro abitato nei pressi del tempio dedicato ad Hera. Alcune, invece, attribuiscono il nome “Insula”alle isole che si affacciavano sui tre promontori detti “Japigi” (Capo Rizzuto, Capo Cimiti e Punta Le Castella) in onore del mitico Japyx, figlio di Dedalo che, fuggito da Creta, trovò accoglienza in questa terra, in seguito ad un naufragio. Altri studiosi fanno derivare il nome di Isola al fatto che “Insula” era il luogo dove chi vi viveva godeva del diritto di asilo. L'imperatore di Costantinopoli, Leone VI elevò Isola di Capo Rizzuto a sede vescovile. La diocesi e quindi la cittadina è indicata nei documenti bizantini con il termine greco “Άσυλον” che significa “luogo sacro”, dove l'uomo non può essere perseguitato. La Torre Vecchia. Sulla costa sorge la Torre Vecchia, una vetusta torre di avvistamento di forma cilindrica eretta nel XVI secolo a guardia della zona contro le incursioni barbariche. La Torre era sotto la custodia di un milite e di un caporale che avevano l’incarico di vigilare giorno e notte e segnalare eventuali navi sospette mediante segnali: di giorni con l’ausilio del fumo e di notte accendendo un falò. Alla Torre si accede mediante un ponte levatoio in legno. Il Santuario della Madonna Greca eretto in onore della Protettrice dell’Isola è semplice e maestoso allo stesso tempo. E’ di nuova costruzione e ogni anno è meta di fedeli e devoti. Il faro in affitto e i ritrovamenti micenei. In località Capo Rizzuto è possibile ammirare il celebre Faro, considerato fin dall’epoca pre-ellenica luogo sacro e punto strategico per i naviganti. In seguito ad una disposizione del governo per la valorizzazione del patrimonio artistico italiano, è possibile affittarlo. Nel 1977, sul promontorio di Capo Piccolo, tra Capo Rizzuto e Le Castella, l’archeologo Domenico Marino scoprì un insediamento dell’età del Bronzo antico e medio che ha restituito alcuni frammenti di ceramica minoico-micenea che indicano una testimonianza certa di contatti tra i popoli indigeni enotrio-japigi e l’universo minoico-miceneo. E’ possibile vedere i reperti presso il Museo archeologico nazionale di Crotone. Punta Le Castella. E’ una frazione di Isola Capo Rizzuto e colpisce per la sua bellezza e per il suo territorio incontaminato. Con la sua imponente fortezza aragonese domina l’intera baia e si ha ragione di credere che in questa zona si collochi l’isola di Calypso narrata da Omero nell’Odissea. Lo spettacolo più suggestivo è vedere questo avamposto cinquecentesco, di notte, illuminato da luci e fiaccole che si riflettono sulle acque e lo legano alla terra ferma da un minuscolo lembo di terra. Le Castella balzò agli onori della cronaca per essere stata teatro di sanguinose battaglie durante i vespri siciliani. Una vacanza all’insegna del relax tra mare meraviglioso e borghi pregni di storia.
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