E’davvero un romanzo debole, senza nessuna vena di sarcasmo, di ironia, di ingegnosità, e va ad inserirsi all’interno di un interminabile filone di prodotti letterari fatti solo per vendere, che ha avuto il suo grande exploit con la trilogia di “Cinquanta sfumature di grigio”, e che in Italia vanta il primato nei libri di Federico Moccia. Gli ingredienti del genere rosa sono sempre i medesimi, e la Premoli mostra di essere recidiva in questo, infatti i suoi precedenti romanzi hanno sempre la medesima struttura. Si prendono due personaggi apparentemente agli antipodi, uno, in genere la donna, con una buona dose di parlantina e voglia di litigare, e gli si fa interagire insieme, dopo gli iniziali contrasti scoppia l’amore. Gli altri personaggi sono solo di contorno, non hanno una loro vita e non hanno una loro evoluzione, sono solo abbozzati a livello caratteriale e poi gettati lì, senza dare o togliere nulla al racconto, che è incentrato solo su due protagonisti. Di corale non vi è nulla, nessuno si confida con nessuno e il travaglio misto all’alcol la fanno da padrone. Ora, quello che viene da chiedersi è: perché in pieno postfemminismo, dopo anni di lotte per l’indipendenza e la parità di genere, torni prepotente – ed abbia così mercato – un immaginario da Histoire d’O?. Perché in questi romanzi la donna, dipinta come un’impenitente crocerossina si sottomette al maschio alfa, per raggiungere l’unico vero scopo della sua esistenza ovvero quello di redimerlo e salvarlo da sé stesso? Forse dopo aver ottenuto tutto, la donna d’oggi novella Giovanna d’Arco, vede come ultima frontiera dell’emancipazione la sottomissione consapevole, giocando a fare la schiava di un uomo arrogante, capriccioso e annoiato. Forse tutta questa emancipazione ha reso la donna d’oggi arida e desiderosa di emozioni forti che solo il ritorno al suo vecchio ruolo può darle. Si può giocare con il fuoco, ma bisogna rendersi conto, al di là della fictio letteraria, che nella vita reale un amore bisogna meritarselo e non inseguirlo come un trofeo.