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Fare luce su tumori rari come i tumori neuroendocrini e dare un supporto ai pazienti, creando occasioni d’informazione e comunicazione tra di loro e con i medici: con questi obiettivi arriva a Napoli “Connettiamoci - Insieme per la cura”, campagna d’informazione promossa dalle Associazioni Pazienti, e sostenuta da Novartis Oncology, che toccherà numerose città italiane. Sabato 18 giugno, presso l’Hotel Montespina, nella Strada Provinciale S. Gennaro 2 a Napoli, l’Associazione Pazienti A.I.NET, gli specialisti del Centro di Oncologia Medica dell’Università Federico II e altre figure professionali del Centro si confronteranno con i pazienti ed i loro familiari in merito alla gestione ottimale di una malattia rara come i tumori neuroendocrini, famiglia di neoplasie che richiedono un approccio multidisciplinare. I tumori neuroendocrini (NET), un gruppo eterogeneo di tumori rari che ogni anno colpiscono circa 3.000 persone in Italia, attaccano le cellule del sistema neuroendocrino, specializzate nella produzione di ormoni e di neuropeptidi specifici. Le cellule da cui originano questi tumori sono presenti in numerosi organi e queste neoplasie possono quindi svilupparsi in qualsiasi distretto del nostro organismo anche se la maggioranza dei NET (circa il 60-70%) si presenta a livello del tratto gastro-entero-pancreatico. «Il Centro di eccellenza interospedaliero ENETS NET Napoli riunisce l’Unità del Federico II e degli altri tre Centri che fanno capo ai tre maggiori ospedali collinari napoletani (Istituto dei Tumori Pascale, Cardarelli e Azienda dei Colli): all’interno è presente un team di specialisti interamente dedicati alla diagnosi e alla cura dei pazienti con tumori neuroendocrini che segue al momento una media di 600 pazienti» dichiara Annamaria Colao, Professore Ordinario di Endocrinologia all’Università Federico II di Napoli. «Siamo convinti dell’importanza che riveste la sinergia tra mondo della medicina, della ricerca e le Associazioni pazienti, i soli a sapere quello di cui hanno veramente bisogno i malati e le famiglie. Solo dall’unione delle forze “competenze e bisogni” potremo davvero effettuare la rivoluzione in sanità». Nell’80% dei casi i NET non danno inizialmente sintomi e questi, quando presenti, sono aspecifici e non vengono subito riconosciuti: possono quindi rimanere a lungo silenti e il tumore viene spesso riscontrato quando è già nella fase metastatica, magari in corso di altri accertamenti medici. La diagnosi dei NET è quindi ostacolata dalla scarsa diffusione e dalla prevalente asintomaticità di questi tumori: per via della loro complessità, i tumori neuroendocrini rendono necessaria una conoscenza specifica e approfondita, esatte procedure nel percorso diagnostico-terapeutico e un approccio multidisciplinare che coinvolga più specialisti. Le strategie terapeutiche attualmente disponibili possono assicurare al paziente una buona sopravvivenza e qualità di vita, soprattutto se il tumore neuroendocrino è diagnosticato per tempo e se viene instaurata la terapia corretta. Oltre alla lenta evoluzione spontanea di molti NET, la prognosi dipende anche dalla risposta ai trattamenti. La prima opzione terapeutica è la Chirurgia, che in alcuni casi può essere risolutiva. L’altra è rappresentata dalla terapia farmacologica: il trattamento di scelta sono gli analoghi della somatostatina, che nelle forme ben differenziate, caratterizzate da una bassa attività proliferativa, offrono un vantaggio significativo di sopravvivenza, mentre nelle forme più aggressive si usano anche i trattamenti chemioterapici. Nuova frontiera nel trattamento farmacologico dei NET sono però i farmaci a bersaglio molecolare, in grado di migliorare la sopravvivenza nei pazienti con NET di origine pancreatica: in particolare, everolimus, raccomandato dalle Linee Guida internazionali per il trattamento dei tumori neuroendocrini di origine pancreatica in stadio avanzato, è l’unico farmaco indicato e rimborsato in Italia per la terapia dei pazienti con pNET (tumori neuroendocrini pancreatici). «Per trattare patologie rare e complesse come i tumori neuroendocrini è necessario lavorare con un team multidisciplinare, costituito da diverse figure che si dedicano al paziente, discutono i singoli casi e fanno scelte condivise sulle diverse opzioni terapeutiche oggi disponibili, che attualmente si sono ampliate. In tale contesto la figura del clinico si è evoluta negli ultimi anni, in particolare l’oncologo è parte integrante, insieme all’endocrinologo, di questa multidisciplinarietà che include altri specialisti come i chirurghi, gli anatomo-patologi, i medici nucleari e i radiologi», afferma la professoressa Colao. Anche alla luce delle nuove terapie disponibili, quindi, la condivisione delle informazioni tra medici, pazienti e familiari è fondamentale: la consapevolezza di essere affetti da un tumore “raro” offre ai pazienti modo di afferire a Centri di riferimento dove, grazie anche all’esperienza dei clinici e alla costante ricerca, si lavora per migliorare le terapie e il supporto umano e psicologico del paziente. «La partecipazione agli incontri “Connettiamoci - Insieme per la cura” – dichiara Adele Santini, Presidente di A.I.NET – è un importante risultato raggiunto dalla nostra Associazione, impegnata dal 2001, anno della sua nascita, sui fronti diversi ma correlati del sostegno alla ricerca scientifica, dell’assistenza ai malati e dell’impegno nella divulgazione. L’associazione ha sede legale in Umbria a Montefalco, ma opera su rete nazionale grazie alla creazione di sezioni regionali che diventano punto di riferimento per i pazienti delle rispettive zone d’Italia. La sezione della Campania-Calabria è nata nel 2012 proprio con l’organizzazione di un convegno divulgativo che replichiamo il 18 giugno, grazie alla collaborazione con Novartis, realizzando un nuovo momento di importante incontro e confronto tra medici specialisti e pazienti». Dalla conoscenza, quindi, si deve passare all’azione e soprattutto alla partecipazione: la scarsa informazione e la rarità di punti di riferimento specializzati, al pari della difficoltà a trovare persone con cui condividere la stessa esperienza, rendono infatti più arduo il percorso terapeutico.
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Gregorio Fogliani e l'importante accordo firmato per la città di Napoli. Rendere la città di Napoli una realtà a spreco zero diffondendo le buone pratiche e attivando una rete di riqualificazione delle eccedenze alimentari, è questo l'obiettivo alla base dell'accordo congiunto tra Anci, l'associazione nazionale comuni italiani, l'Università degli studi di Napoli Federico II e Qui! Foundation, la onlus attiva dal 2007 sotto la guida dell'imprenditore di Genova Gregorio Fogliani. Questo importante progetto mira a redistribuire i pasti invenduti tra una rete di offerta qualificata e una rete di domanda legata prevalentemente al terzo settore. Dedicata in partenza al centro storico di Napoli, questa iniziativa prevede la mappatura di ristoranti, bar, gastronomie e altri esercizi food che dispongono di cibi invenduti a fine giornata, e dell'organizzazione di una rete per il recupero e la distribuzione a chi ne ha più bisogno. Per la prima volta questo progetto mette in sinergia una onlus da tempo attiva nel settore, l'Anci e l'Università cosi da elaborare un modello virtuoso di ottimizzazione e valorizzazione delle risorse espandibile anche nelle altre città della Regione Campania. Qui! Foundation: l'impegno di Gregorio Fogliani nella lotta allo spreco alimentare In un contesto come quello odierno, dove secondo i dati Fao, circa un terzo delle risorse alimentari viene gettato via e sono in Italia si sprecano 76kg di cibo pro-capite, la onlus appartenente al Gruppo dell'imprenditore Gregorio Fogliani è impegnata dal 2007 con il progetto "Pasto Buono" in molte città italiane. A livello istituzionale l'attenzione a questo gravissimo spreco si traduce nella proposta di legge anti spreco, una legge che punta a semplificare le procedure per la raccolta e la donazione non solo di cibo, ma anche di altre risorse estremamente importanti. In merito a questo importante ed ulteriore passo avanti, Qui! Foundationevidenzia ancora la presenza di un ampio margine di crescita, auspicando maggiori incentivi fiscali e soprattutto una riduzione della tariffa sui rifiuti in proporzione alla quantità di cibo donato.
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Napoli. Endocrinologi, neurochirurghi, neuroradiologi e molti altri specialisti da tutta Italia e di fama internazionale sono riuniti nella città partenopea per il meeting “Acromegaly: Science Teaching Education and Research” (ASTER), Corso di aggiornamento in Endocrinologia in corso fino a sabato 7 maggio al Grand Hotel Santa Lucia, promosso e organizzato dal Dipartimento di Medicina Clinica e Chirurgia dell’Università degli Studi Federico II e Centro di eccellenza nazionale e internazionale per le malattie endocrinologiche rare e per le malattie ipofisarie, diretto da Annamaria Colao. Il Corso è l’occasione per fare il punto sullo stato dell’arte di una patologia ipofisaria rilevante come l’acromegalia e sui disturbi ad essa correlati. Durante i lavori del Corso, aperto a tutti gli specialisti italiani (endocrinologi, neurochirurghi, neuroradiologi, internisti) che si occupano di acromegalia e delle sue complicanze, verrà trattata la gestione medica e chirurgica del paziente affetto da acromegalia, saranno discussi gli sviluppi della ricerca e le più interessanti novità sulle terapie mediche. Il Corso è strutturato secondo un’impostazione multidisciplinare e dialettica: alle letture del singolo esperto si alterneranno gruppi di lavoro di giovani specialisti coordinati da un tutor/senior su argomenti specifici della letteratura scientifica al termine dei quali verrà prodotto un documento da cui partire per realizzare un editoriale, un comment, una review o mini-review. L’acromegalia è una malattia endocrina rara e severa che colpisce entrambi i sessi dovuta a un tumore ipofisario benigno che induce una ipersecrezione dell’ormone della crescita GH (growth hormone) che a sua volta esercita i suoi effetti aumentando la produzione di un altro ormone, il fattore di crescita insulino-simile-1, IGF-1, prodotto principalmente dal fegato. L’azione combinata dei due ormoni produce l’acromegalia, modificazioni somatiche per cui si assiste a un aumento di volume delle estremità e del volto. Importanti le complicanze a livello cardiovascolare, respiratorio, reumatologico, metabolico e sessuale. Lunghissimo il tempo medio necessario per arrivare a una diagnosi, circa 8 anni, per una patologia che, se non trattata, presenta una mortalità molto elevata. «La diagnosi dell’acromegalia è ancora un bisogno medico non risolto, in quanto i medici che hanno una limitata o nulla esperienza della malattia non la riconoscono, mentre è necessario un primo sospetto diagnostico per indirizzare il paziente a un Centro di riferimento dove endocrinologi specializzati in questa patologia siano in grado di diagnosticarla con certezza e trattarla: in caso contrario la mortalità dei pazienti è 3-4 volte più elevata rispetto a quella della popolazione generale – afferma Annamaria Colao, Direttore del Centro di riferimento regionale e nazionale per le malattie endocrine rare e per le malattie ipofisarie dell’Università degli Studi Federico II di Napoli e Referente italiano per le malattie endocrine rare per la Comunità Europea – il rischio di decesso, correlato soprattutto alle complicanze cardiovascolari e respiratorie, non dipende solo dalla terapia ma anche dalla precocità diagnostica. Uno studio condotto dal nostro Centro, in parallelo con la Bulgaria, dimostra che quando l’acromegalia viene diagnosticata tempestivamente e trattata correttamente la mortalità diventa sovrapponibile a quella della popolazione generale». L’acromegalia è una patologia rara ma estremamente complessa per i disturbi conseguenti all’eccessiva produzione di ormoni GH e IGF-1. Per questa grave malattia ipofisaria i trattamenti classici prevedono la chirurgia, approccio che ha come obiettivo la rimozione del tumore quando possibile, e le terapie mediche: in particolare sono disponibili i tradizionali farmaci analoghi della somatostatina, che controllano la secrezione di GH e riducono le dimensioni del tumore ipofisario, e gli antagonisti del recettore del GH, dei quali capostipite è pegvisomant, farmaco di seconda linea che bloccando il recettore del GH inibisce di conseguenza la produzione di IGF-1 a livello epatico. Una nuova opzione terapeutica sarà presto disponibile per i pazienti affetti da acromegalia: pasireotide, indicato per i pazienti che non rispondono agli analoghi della somatostatina di prima generazione. «Questo nuovo peptide analogo della somastatina di nuova generazione è più potente degli altri e si è dimostrato più efficace soprattutto per i pazienti resistenti parzialmente o totalmente ai classici analoghi della somatostatina – spiega Rosario Pivonello, Professore associato di Endocrinologia del Centro di riferimento regionale e nazionale per le malattie endocrine rare e i tumori ipofisari dell’Università degli Studi Federico II di Napoli – pasireotide agisce sul tumore ipofisario somatotropo che è causa dell’ipersecrezione di GH e conseguentemente dell’acromegalia. Questo farmaco, dotato di un più ampio spettro di affinità di legame per i vari sottotipi recettoriali della somatostatina (ne lega 4 su 5), rappresenta un’opzione di trattamento che negli studi clinici ha dimostrato significativa efficacia e un buon profilo di sicurezza per i pazienti acromegalici non adeguatamente controllati con gli analoghi di prima generazione e per i quali il bisogno medico era insoddisfatto». Il Centro di riferimento in endocrinologia dell’Università Federico II di Napoli è una struttura all’avanguardia in Italia per la diagnosi e la cura dell’acromegalia, dei tumori ipofisari e della sindrome di Cushing. Oltre alle competenze del personale sanitario, è dotata di laboratori d’avanguardia e conduce ricerche sia cliniche, sia di base su nuove molecole, in particolare per l’acromegalia e per il Cushing, con l’obiettivo di mettere a disposizione dei pazienti armi terapeutiche sempre più efficaci nel curare queste patologie rare ma di estrema gravità.

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La maggior parte dell’acqua imbottigliata in Europa deriva da fonti sotterranee, classico esempio sono le acque minerali o di sorgente, confezionate poi in contenitori plastici o di vetro sigillati. A differenza dell'acqua in bottiglia quella dei rubinetti arriva da fiumi o laghi e quindi da fonti di superfice, ecco perché deve essere obbligatoriamente sottoposta a trattamenti di messa in sicurezza microbiologica e chimica. Per la sicurezza dell'acqua esistono leggi precise, per quella in bottiglia le aziende europee devono rispettare il regolamento 852/2004/CE riguardante l'igiene dei prodotti alimentari, inoltre devono essere osservate le normative che riportano le definizioni delle differenti categorie di acqua in bottiglia, del tipo di estrazione, i trattamenti, i requisiti di sicurezza, la vendita, l'etichettatura e l'imballaggio. Le acque che possono essere imbottigliate sono di tre tipi: minerale naturale, di sorgente e ogni altra acqua potabile. La prima deve essere microbiologicamente pura e si distingue dalle altre per il contenuto particolare di minerali e di vari elementi, per queste acque in Europa sono autorizzati pochissimi trattamenti, il più diffuso è l'aggiunta di anidride carbonica per renderla frizzante. Per acqua di sorgente s’intende quella proveniente da sorgente sotterranea e microbiologicamente pura, senza nessun trattamento; quest’acqua deve soddisfare molte condizioni richieste anche all'acqua minerale naturale, per quanto riguarda la sicurezza della sorgente, l'etichettatura e i trattamenti, tuttavia l'acqua di fonte non prevede una composizione minerale stabile. "Altre acque potabili" è la dicitura usata per definire le acque non appartenenti ai due gruppi sopra esposti e, come detto, provenienti da fonti di superfice, in questo caso sono previsti trattamenti indispensabili per garantire i requisiti microbiologici e di composizione previsti. Per garantire quindi la sicurezza dell'acqua, le aziende produttrici sono tenute a prendere tutte le precauzioni necessarie indipendentemente dalla sua origine, tra le varie buone pratiche troviamo: • La protezione della fonte da contaminazioni esterne • La protezione dell'acqua nella fase dell'imbottigliamento o dell’erogazione • Il rispetto di tutti i requisiti di legge In Europa i problemi di salute sono raramente legati al consumo di acqua potabile da rubinetto o bottiglia, grazie agli standard di eccellenza previsti in termini di qualità dell'acqua, produzione e imbottigliamento. Alcuni studi evidenziano come nella scelta tra una tipologia o l'altra sia fondamentale il gusto, anche se per migliorare questo e la qualità del prodotto (non dal punto di vista sanitario bensì quello della durezza e contenuto di calcio) sia possibile e sia sempre più diffusa la pratica di utilizzare depuratori d’acqua a osmosi. Essi ne migliorano il gusto e abbattono la durezza, riequilibrando il contenuto di sali, garantendo al contempo una minore usura delle attrezzature che utilizzano acqua, come lavatrici, lavastoviglie, ecc. Importante rilevare che questo di tipo di prodotti sono da usare solo ed esclusivamente con acqua potabile e sicura, infatti, il loro compito è di ottimizzare il contenuto di sali e abbattere la durezza non di potabilizzare l'acqua che, nel caso contenga sostanze dannose come arsenico o altro, non sarebbe depurata. Ultimo aspetto da considerare nel caso si voglia scegliere questa soluzione è che un depuratore a osmosi è utile solo nel caso in cui ne sia fatta un’adeguata manutenzione periodica, in caso contrario, risulterebbe completamente inutile e, nel caso si stia valutando quest’opzione, un particolare interesse deve essere rivolto ai costi di assistenza depuratori.
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Retinopatia diabetica, arrivano le visite gratuite

Venerdì, 09 Ottobre 2015 15:23 Scritto da
NAPOLI – Check-up oculistici gratuiti per prevenire la retinopatia diabetica. Sarà possibile effettuarli sabato 14 novembre 2015 dalle 9 alle 13 e dalle 15 alle 19, in Afragola (Napoli) al viale Sant’Antonio (Piazzale antistante la Basilica), in occasione della giornata della prevenzione per le patologie oculari che possono essere conseguenza del diabete. Le visite avverranno a bordo di una unità mobile oftalmica grazie alla collaborazione dell’oculista Salvatore Grande, dirigente struttura semplice chirurgia orbito palpebrale ospedale civile di Maddaloni (provincia di Caserta). L’importante iniziativa di prevenzione è organizzata dalla Sezione di Napoli dell’Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti e dalla IAPB Italia ONLUS (Agenzia Internazionale per la Prevenzione della Cecità) con il patrocinio del Comune di Afragola. Il diabete, malattia che colpisce oltre tre milioni di persone solo in Italia, deve essere diagnosticato il prima possibile per evitare anche danni retinici. Proprio per sensibilizzare i cittadini su questo tema, si terranno iniziative in circa 60 città italiane e la Sezione UICI di Napoli ha deciso, dopo molti anni, di organizzare questa attività di prevenzione ad Afragola