Le richieste più strane dei vip in tour

Domenica, 15 Marzo 2015 11:37
Nella classifica delle “bizzarrie” delle star al decimo posto si piazza il cantante Moby, che durante il tour vuole tantissime mutande nuove. Prince, nono posto, si fa iniettare della vitamina B-12 prima di ogni concerto, ed ogni oggetto del suo camerino deve essere ricoperto da una pellicola protettiva di plastica. Lady Ciccone all’ottavo posto è molto attenta all’igiene intima, le tavolette del Wc devono essere nuove ed igienizzate. La prorompente J-Lo vuole che durante i suoi concerti tutto sia di colore bianco, qualsiasi cosa la circondi, e pretende che il caffè le venga servito in senso antiorario. Al sesto posto la divina Cher vuole un’apposita stanza per le sue parrucche. Justin Timberlake al quinto posto è un ipocondriaco dei germi che si annidano sui pomelli delle porte e pretende che vengano tutti disinfettati. L’attore Will Ferrel si piazza al quarto posto. Durante i suoi spettacoli pretende uno scooter elettrico con ruote arcobaleno e un albero alto quasi 5 metri. Angelina Germanotta alias Lady Gaga esige un punto vendita di smoothies solo per lei e un manichino con i peli pubici molto vaporosi e di colore rosa. Il “cattivissimo” Marylin Manson dopo ogni esibizione vuole trovare nel suo camerino una prostituta pallida, calva e senza denti e tanti orsetti gommosi rigorosamente di marca Haribo. Primo posto per Iggy Pop con una lista lunga 18 pagine. La star, tra le altre cose, vuole una persona che impersonifichi Bob Hope per 7 giorni h24, un articolo di USA Today sugli obesi, e infine i sette nani!

Sirene. La serie fantasy ambientata a Napoli

Giovedì, 23 Novembre 2017 11:29
Quattro sirene. Un tritone. Una Napoli bella e luminosa. Un’unica missione: salvare la specie marina dall’estinzione. Questi gli ingredienti di Sirene, la nuova fiction di Rai 1 che apre al fantasy, in salsa nostrana. La serie scritta da Ivan Cotroneo (Tutti pazzi per amore, Una madre imperfetta) si pone l’obiettivo di aprire il varco a qualcosa di innovativo rispettando i dettami che impone la rete generalista, con qualche nudo inserito qui e là tanto per ricordarci che si tratta pur sempre di creature non terrestri. Il tritone Ares (Michele Morrone), stanco della vita da sottomesso che conduce negli abissi, decide di ribellarsi ad una società profondamente matriarcale e femminista e si trasferisce sulla terra dove si fa chiamare Gegè De Simone, gioca a pallanuoto, fa servizi fotografici, è amato ed ammirato e non ci pensa per niente a tornare sott’acqua anche se per colpa sua, infatti è l’unico tritone rimasto nel Mediterraneo, si estinguerà la specie. La sua promessa, Yara (Valentina Bellé), è disperata ma anche ferma nella sua decisione: troverà Ares e lo riporterà alla ragione. Così, insieme alla madre Marika (Maria Pia Calzone) e alle due sorelle, Irene (Denise Tantucci) e Daria (Rosy Franzese), sbarca sulla terra. Ben presto le 4 sirene si adatteranno alla nuova vita, scoprendone i difetti e apprezzandone i pregi: come la moda reinterpretata da Marika in maniera cafona, il cibo, la telenovela “Colpi di cuore” e la bontà di Salvatore (Luca Argentero) che fa ricredere Yara sulla presunta stupidità del genere maschile inducendola ad ammorbidire alcuni lati spigolosi del proprio carattere. Un alternarsi vorticoso di eventi condurrà Ares a rivedere le sue priorità e getterà Yara nel dubbio. Desidera davvero la vita di un tempo? E Marika riuscirà a troncare il legame che ha stretto con quelle donne alle quali salvò la vita anni fa? Ma, soprattutto, darà retta ai suggerimenti di zia Ingrid(Ornella Muti)? Una Napoli chic, diversa, sofisticata, sorridente, con i suoi vicoli armoniosi, le sue botteghe, il suo mare meraviglioso diventa la cornice perfetta all’interno della quale si muovono le vite di questi personaggi. Si respira aria di gioia, di vitalità, di brio, quel brio che rende Napoli un posto talmente tanto ideale dove possono vivere, non solo gli esseri umani, ma anche le sirene.

I Migliori Anni, torna lo show amarcord

Martedì, 09 Maggio 2017 11:26
Puntuale come un soldato al cambio della guardia è tornato su Raiuno l’inossidabile evergreen de “I Migliori Anni”. Lo show in onda ogni venerdì, capitanato da Carlo Conti con la partecipazione, anche quest’anno, di Anna Tatangelo, ha portato con sé tutto l’armamentario di cui dispose: ballerini, scintillio di luci e colori, annate in lotta tra loro, ospiti vecchi e nuovi, buon’umore e tanta musica, sull’onda della scia - tanto cara agli italiani e allo stesso Conti - di crogiolarsi nel passato visto che il futuro è incerto e neanche poi tanto roseo - in Rai, di questi tempi, tira una pessima aria complice il tetto agli stipendi dei conduttori e le ingerenze della politica nostrana. Fatto sta che Carlo è tornato. Forte del successo del suo ultimo Sanremo si conferma anche in questa ottava stagione de I Migliori Anni mattatore indiscusso di ascolti e di programmi collaudati che, se da un lato gli consentono di maneggiare con abilità meccanismi oliati alla perfezione, dall’altro lo fanno inciampare nella solita solfa spiattellata in due ore e mezzo di programma. Lo spazio riservato ai “Noi che…” è puro amarcord, carico di quella sottile e neppure tanto velata vena di malinconia che assale chiunque si ritrovi a pensare ai bei tempi andati senza la nostalgia per una millantata perfezione che poi non corrisponde a verità. Se l’obiettivo era cavalcare l’onda delle rimembranze si poteva mandare in onda Techetecheté, ormai un cult della programmazione estiva, abile ed infimo nel lanciare spezzoni d’antan per poi interromperli sul più bello passando a tutt’altro, senza seguire un filo logico che è la stessa sensazione che si ha guardando la trasmissione di Conti. La Tatangelo è stata rilegata, anche in questa occasione, al ruolo di valletta semi-parlante, privandola dei suoi momenti di canto e ballo con i quali ci aveva deliziato lo scorso anno. Ma si sa, Conti predilige una conduzione asciutta e tendenzialmente in solitaria anche se quelle poche volte in cui si trova a confrontarsi con compagne di viaggio di un certo peso specifico - vedi la Maria nazionale o la Incontrada - ridimensiona di colpo l’ego baudiano di cui è forgiato dimostrando a se stesso ed a noi telespettatori di essere capace di gesti di generosità televisiva. Ad ogni modo che ci piaccia oppure no, I Migliori Anni continuerà a farci compagnia per molto tempo, perché si sa: programma che sbanca gli ascolti non si cambia. E poco importa se qualcuno di noi gradirebbe una ventata di novità.
Nel cuore della brughiera inglese leggere era l’unico svago per la famiglia Brontë. Jane Austen interrompeva la lettura solo per fare lunghe passeggiate. Per Leopardi dedicarsi alla “sacra arte” era l’unico svago. La lettura ha accompagnato da sempre ognuno di noi e se alle volte le nostre madri ci rimproveravano urlandoci di tirare via il naso dai libri ora possiamo dirle che ci avevamo visto più lungo di loro. Sì, perché leggere allunga la vita. Secondo una ricerca scientifica promossa dalla Scuola di Pubblica Salute dell’Università di Yale, e pubblicata sulla rivista Science Direct, coloro i quali hanno l’abitudine alla lettura possiedono “significati vantaggi di sopravvivenza” a discapito di chi esercita sporadicamente questa attività. La longevità consisterebbe in circa due anni in più rispetto agli altri a patto che si legga almeno per 3 ore e mezza alla settimana. In dodici anni, sottoponendo ad analisi svariati campioni di persone, si è potuto registrare che gli aficionados alla lettura hanno ridotto il rischio di mortalità del 23%. La Scuola di Pubblica Saluta ha individuato nel book-lover il profilo di una donna, d’istruzione universitaria e benestante. Per migliorare la qualità della propria vita basta davvero poco soprattutto perché la sedentarietà, legata alla lettura, non inficia la nostra salute. "Chi ha dichiarato di leggere almeno 30 minuti a giornata ha un significativo vantaggio in termini di mortalità rispetto a chi non legge mai" ha dichiarato la leader del team di ricercatori, Becca R. Levy, professoressa di epidemiologia dell'Università di Yale. D’ora in poi non dovremmo più convivere con quel fastidioso senso di colpa che ci attanaglia nel fine settimana dedicato alla pigrizia più sfrenata. Adesso abbiamo anche la scienza dalla nostra. Perciò bando ai telefonini, ai tablet ed ai pc. Spegnete il televisore e correte in libreria o in edicola. Una nuova storia scalpita per essere letta.
Per DopoFiction la Rai ha tolto dalla naftalina lo storico terzetto del primo Don Matteo: Flavio Insinna, Natalie Guettà e Nino Frassica auspicando di portare sullo schermo un programma scanzonato dove fondere curiosità legate alla fiction, facendole pelo e contropelo, con l’intrattenimento. Ma si sa, tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare e, complice lo stile incensatorio e fastidiosamente retorico di Insinna unito alla pochezza degli interventi della Guettà, quello che ne esce è un’inutile ora e mezza di adulatoria auto celebrazione, tutto a vantaggio di mamma Rai. Per carità, siamo tutti debitori a mamma Rai, visto il deserto sia a livello di sceneggiatura che di prestazioni attoriali offerto dalla concorrenza generalista, ma non per questo dobbiamo essere costretti a sentircelo ripetere come un mantra. Le interazioni tra conduttore e valletta sono pressoché sterili, le interviste ai simboli della fiction nostrana talmente tanto banali da far rimpiangere quelle della Toffanin a Verissimo, gag ritrite ed anche un filo stancanti: DopoFiction è l’ennesimo progetto senza sostanza dove a ridere sono solo le voci registrate in sottofondo. E Dio solo sa se si poteva fare di più. Molto di più. Magari scopiazzando l’ottimo prodotto trasmesso qualche tempo fa da Rai Premium e condotto da Monica Leofreddi. Meno dinamico, certo, ma molto più pregno. Unica nota positiva ovviamente l’immenso Frassica con il suo stile surreale sempre al limite del nonsense, con punte di genialità come l’intervista sfumata al direttore generale della Rai Campo dall’Orto, l’entrata delle sedioline, gli sfottò a Barbara D’Urso e la parodia a XFactor. Bagliori in un cielo costellato di nubi. L’apice lo si è raggiunto con la messa in onda dell’iconica lite tra Pappalardo e Zequila a Domenica In, momento indimenticabile di una tv trash che riempie sempre il cuore di gioia prima di augurarci la buona notte e spengere definitivamente sia la tv che Insinna.
Francesco Gabbani è il vincitore della 67a edizione del Festival di Sanremo con il brano “Occidentali’s Karma.” Secondo posto per Fiorella Mannoia con “Che sia benedetta” che si aggiudica anche il premio come miglior testo e quello “Lucio Dalla” della Sala Stampa. Ultimo gradino del podio per l’italo albanese Ermal Meta con il brano autobiografico “Vietato morire” nel quale racconta con precisione chirurgica episodi di violenza domestica portandosi a casa il Premio della Critica “Mia Martini.” Il duo Carlo Conti – Maria De Filippi ha confezionato il festival dei record, non solo per i dati d’ascolto pazzeschi che hanno fatto gongolare non poco i vertici Rai (nella serata conclusiva si è sfiorato il 60% di share) ma soprattutto perché sono stati definitivamente messi in cantina alcuni dei protocolli sanremesi considerati intoccabili. Uno su tutti: le scale. Maria, o dovremmo a giusto titolo definirla la Re Mida della televisione italiana, ha dissacrato le scale rifiutandosi di scenderle e accomodandocisi sopra come è solita fare in una sua trasmissione trash di successo. Ha inoltre sdoganato il sorriso finto del conduttore portando sul palco dell’Ariston se stessa, con la sua classe, la sua compostezza e il suo peso specifico urlante anche quando è rimasta in silenzio. Questo è stato senza alcun dubbio il suo festival. La consacrazione del suo stile di conduzione a sottrazione. Non più il presentatore onnipresente e onnisciente ma il gioco di squadra, la capacità di intuire quando intervenire e quando saper ascoltare – dote rara di questi tempi – il tutto condito dall’intelligenza sincera di Conti che ha messo in pratica una co-conduzione reale e non solo vaticinata. Dettaglio non da poco l’archiviazione dell’inutile defilé di abiti. Due cambi sono più che sufficienti. Maria non ha bisogno di dimostrare niente a nessuno, è già iconica di per sé. A luci spente e ormai lontani dall’atmosfera frenetica di queste cinque interminabili serate, quello che rimarrà del terzo (ed ultimo) festival contiano sarà la classe innata di Tiziano Ferro nell’omaggiare un gigante della musica come Luigi Tenco, il duetto alla Paolo Limiti di Zucchero con il maestro Pavarotti, la pochezza degli interventi comici, Crozza ha mostrato qualche bagliore solo sabato sera materializzandosi sul palco per incarnare il senatore Razzi preferendo nelle serate precedenti collegarsi in video da chissà dove, l’assenza del maestro Vessicchio, in platea venerdì sera ed osannato come uno rockstar, gli Eroi di Rigopiano, i ragazzi peruviani ambasciatori Unicef che suonano con oggetti riciclati, le storie dei Giganti del quotidiano, lo stuolo riempitivo quanto orticante delle figlie di, nipoti di, fidanzate di presentatesi durante la parentesi Tutti cantano Sanremo e, ovviamente, le canzoni, belle o brutte che siano. Eliminati a sorpresa Albano, D’Alessio e Ron – è il gioco, ragazzi. Stateci! - il televoto ha premiato Gabbani, un giovane toscano dalla penna sopraffina che con “Occidentali’s Karma” ha saputo scimmiottare (non a casa utilizziamo questo termine vista la presenza dello scimmione danzerino al suo fianco) gli occidentali che, svuotati di ogni spiritualità e oramai alla deriva, ricercano nell’oriente la cura a tutti i loro mali, assorbendo una cultura che non gli appartiene e facendola propria solo perché “fa fico.” Ironia e leggerezza si sono shakerati in un cocktail che funziona e che si accinge a diventare un tormentone, con tanto di balletto. Per il prossimo anno Conti si è già chiamato fuori e non credo che rivedremo Maria nazionale nuovamente nella città dei fiori a meno che non le parta l’embolo e decida di sfidare nuovamente la sorte. In pole position per la conduzione si fanno insistenti i nomi di Paolo Bonolis e Fabio Fazio.

Paolo Bonolis come Giano bifronte

Lunedì, 16 Gennaio 2017 11:13
L’istrionico conduttore televisivo si mostra in forma smagliante nel nuovo programma di Canale Cinque Music dove porta in scena tutto il suo repertorio ridanciano offrendo tre ore di godibilissimo spettacolo con interviste ai grandi della musica dimostrando, ancora una volta, di essere uno straordinario mattatore. Gli ospiti sono chiamati a raccontare qual è la canzone della loro vita e che ha influenzato la loro musica. In forza a Mediaset già da parecchio tempo, e con un contratto prossimo alla scadenza, in questi anni Bonolis ci ha deliziati con programmi che spaziano dalla risata più pungente - vedi Avanti un altro - ad occasioni di riflessione profonda con il pregiatissimo seppur falcidiato dall’auditel, Il senso della vita. Ecco, proprio questa trasmissione presenta molti strascichi in Music: le confessioni a cuore aperto, le riflessioni, le sedute familiari e non necessariamente ingessate ricordano moltissimo la precedente esperienza televisiva. La scenografia è quella delle grandi occasioni unita ad una carrellata di ospiti che insinuano un tarlo giustificato, ovvero sia che Bonolis abbia voluto fare di Music un piccolo Sanremo. Ad ogni modo siamo lontani anni luce dalla kermesse che si svolge nella città dei fiori. Il clima è decisamente più disteso, informale, non c’è gara, non c’è giuria e sembra quasi un miracolo vista la virata che accomuna ogni trasmissione televisiva nel voler piazzare ovunque giudici che emettono sentenze. La battuta alternata alla citazione colta è la cifra dello stile Bonolis che lo rende un perfetto Giano bifronte. Uno stile ritenuto dai più cinico e sadico soprattutto nel perculare persone comuni elevandoli, per almeno una sera, a personaggi. Gli esilaranti e collaudatissimi siparietti non sense con il compagno di sempre, il maestro Luca Laurenti che si scopre e riscospre spalla eccellente. Il primo dei tre appuntamenti ci lascia impressa l’immagine del maestro Ezio Bosso, un esempio di tenacia, amore per la propria professione, portatore di un messaggio dirompente: non lamentiamoci per le piccole cose, tutto si supera. La vita vale sempre la pena di essere vissuta, anche e soprattutto nella malattia.
Appuntamento imperdibile per gli appassionati di musica d’autore, giovedì 15 marzo presso il Dome Club alle 21.30, a Castrovillari con il cantautore Maldestro, al secolo Antonio Prestieri, reduce dal Festival di Sanremo 2017 dove si è classificato secondo nella Categoria “Nuove Proposte”, vincendo il prestigioso premio della critica “Mia Martini” per il brano “Canzone per Federica”. Ha portato a casa, inoltre, il premio Lunezia, il premio Jannacci e già vincitore del premio Tenco. Classe 1985, napoletano, Maldestro è il simbolo della rinascita per chi proviene da un territorio martoriato come quello di Scampia e da una famiglia con un nome che pesa sulle spalle come un macigno. Il padre, Tommaso è un ex capoclan della camorra, ora in carcere, ed in seguito divenuto collaboratore di giustizia, mentre sua madre è diventata cieca subito dopo averlo messo al mondo. Nonostante questo ha saputo insegnargli il senso di giustizia - divorziò dal marito non appena scoprì i suoi legami con la malavita - e portò via Antonio e sua sorella da una realtà che li avrebbe fagocitati. Durante tutta la sua crescita personale ed artistica, Maldestro ha partecipato a numerose iniziative in favore della legalità nelle carceri minorili, nelle scuole medie, superiori e nelle università, spesso affiancato da nomi importanti della lotta contro le mafie: da Rosaria Capacchione a Don Luigi Merola. A ventotto anni, Maldestro avverte l’esigenza e la voglia di pubblicare alcune canzoni tra le quali “Sopra al tetto del comune” e “Dimmi come ti posso amare”, brani che gli faranno vincere tra il 2013 e il 2014 numerosi premi. Dal suo debutto nel 2013 ha tenuto oltre centocinquanta concerti partecipando tra l'altro a numerosi importanti festival, rassegne ed esibendosi in numerosi teatri importanti. Il 24 marzo ha pubblicato il suo 2° album “I Muri di Berlino”(Arealive/Warner), un viaggio nelle sfumature dei sentimenti umani. Il disco contiene oltre al brano “Canzone per Federica” anche “Abbi cura di te” presente nella colonna sonora del film di Massimiliano Bruno, “Beata Ignoranza”, con Alessandro Gassman e Marco Giallini uscito nelle sale cinematografiche lo scorso 23 febbraio. Maldestro è stato, inoltre, inserito nell'album del Club Tenco dedicato a Fabrizio De André, di prossima uscita. Il video di “Arrivederci allora”, quarto singolo estratto da “I Muri di Berlino” è stato realizzato con il contributo della Lucana Film Commission che ha conferito a Maldestro il premio “Soundies Award” per il miglior video. Maldestro tornerà in studio ad Aprile 2018 per registrare il suo terzo disco, ma prima un ultimo pugno di date, a marzo e aprile, un tour acustico che attraverserà l’Italia con il quale ha deciso di regalare ai propri fan una serie di concerti dove si esibirà da solo con la sua chitarra per recuperare quella dimensione intimistica del live più vicina ai suoi esordi. Uno spettacolo dove a farla da protagonista sarà la sua toccante poetica, in un rapporto più diretto col proprio pubblico. Un concerto in cui proporrà le sue canzoni già note, totalmente riarrangiate, oltre ad alcuni brani inediti. «Entro in studio per il terzo album ad aprile. Finalmente. Allora ero lì che pensavo, nei miei giorni di relax, dopo un tour con la band meraviglioso - ha dichiarato il cantautore - Ero lì che mettevo a posto due cose qui e là, e mi sono detto: passerà un bel po’ di tempo prima di riabbracciare il mio pubblico. Questo non mi piace, per niente. Allora ho deciso di mettere su un piccolo tour, da sud a nord, ritornare nelle città e stringervi, farlo forte. Questa volta però, lo voglio fare da solo, chitarra e voce, in posti piccoli, avervi alla distanza di una mano, per guardarsi diversamente. Ho voglia di regalarvi le mie canzoni nude, così, come nascono». Autore raffinato, dalla voce graffiante, Maldestro racconta, nelle sue canzoni e nei suoi spettacoli, l'amore, la rabbia, la speranza, il disagio e la disperata voglia di vivere di un giovane poeta dei nostri tempi senza rinunciare a un'ironia piena di vita, che è il cuore della sua musica.
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