Il Made in Calabria approda in Giappone grazie all’agrichef Enzo Barbieri, unico chef presente all’evento “Mostra Italia” ospitato nel prestigioso store multipiano e multifunzionale HarukasuKintetsu di Osaka. Dalla pasta imbottita agli involtini di maiale con cicoriette di campo, dalle crocchette di melanzane al tris di conserve in olio extravergine d’oliva prodotto dalla Bottega Barbieri, fino alla cicirata come dessert: è questa la proposta gastronomica presentata nel paese del Sol Levante. Quello calabrese è un patrimonio culinario mirato alla valorizzazione della materia prima, simbolo di biodiversità, che prende vita grazie alle sapienti mani di chef Barbieri.
Rocco Forte è un giovane e promettente regista, autore del documentario “Bogside Story”. Cresciuto in un ambiente sereno e stimolante, circondato dall’affetto della famiglia e dei nonni, Ricky (questo il tenero nomignolo con il quale viene chiamato) sente il richiamo del cinema fin dalla tenera età. «Si spengono le luci, il tenue bagliore del proiettore si diffonde nel buio della sala e il classico e discreto rumore della pellicola che scorre nel proiettore (a quel tempo c’era ancora la pellicola!) è l’ultima cosa che senti coscientemente prima che le immagini sullo schermo ti trasportino nella dimensione del sogno - ci racconta Forte - Fui così sopraffatto da quel rituale magico che avviene solo nel buio della sala cinematografica che alla fine della proiezione, uscendo dal Cinema Ciminelli di Castrovillari, dissi a me stesso: “Da grande farò il regista!”» Aveva appena visto “Jurassic Park” di Steven Spielberg (1993) insieme alla mamma. In seguito quel cinema divenne la sua seconda casa, insieme all’Atomic Cafè. Con il passare degli anni, la passione per la macchina da presa aumentò in maniera esponenziale anche grazie alla «professoressa Mariarita Lojelo», all’epoca insegnante di italiano alle scuole medie che influenzò notevolmente il suo percorso di studi e di interessi. Dopo la maturità scientifica, Forte si trasferisce a Roma per affinare i suoi studi presso l’Università di Roma Tre, iscrivendosi al DAMS. Ripercorrendo le tappe della sua vita, arriviamo ad oggi. Lo intervistiamo all’indomani dell’uscita della sua pellicola e dopo la partecipazione alla trasmissione Cinematografo di Gigi Marzullo su RaiUno. Da dove nasce l’idea di utilizzare la forma del documentario in “Bogside Story” e perché la scelta di raccontare la strage di Derry, Irlanda del Nord, del 30 gennaio 1972? Diciamo che come opera prima non ho scelto un tema proprio semplice. In “Bogside Story” non raccontiamo solo la strage di Derry ma raccontiamo i principali eventi che hanno caratterizzato il cosiddetto periodo dei “Troubles” e lo facciamo partendo dall’arte, da quei meravigliosi murales che decorano il Bogside di Derry realizzati da Tom e William Kelly e Kevin Hasson, meglio conosciuti come The Bogside Artists. L’idea di utilizzare la forma del documentario ha principalmente due ragioni, una legata ad aspetti tecnici e l’altra legata ai contenuti della storia, anzi delle storie. Fare cinema indipendente è molto difficile. Il documentario ti permette di abbattere o contenere alcuni costi del budget, soprattutto i costi sopra la linea se, come nel nostro caso, si è disposti a lavorare senza percepire compenso perché si è deciso di sposare una causa. Inoltre ti permette una troupe leggera pronta a filmare quei momenti inaspettati, non previsti, che il reale ti mette davanti all’occhio della telecamera. L’altra e più importante ragione è che non vedevo altra forma più adatta del documentario per raccontare una storia vera. Non ci sono artifici, non c’è fiction perché non avrebbe avuto alcun senso recitare o simulare. Non ci sono virtuosismi perché sono i murales, le persone che hanno vissuto gli eventi, le loro testimonianze, i loro volti ad emozionare lo spettatore. I murales realizzati dai The Bogside Artists lungo il quartiere omonimo, a maggioranza cattolica, hanno una grande forza evocativa. Il connubio cinema/arte si conferma ancora come il mezzo più incisivo per raccontare una storia? L’arte in generale è il mezzo più potente che si possa avere a disposizione se si vuole comunicare qualcosa suscitando delle emozioni, che è poi quello che è successo ammirando i murales nel Bogside. Tutto nasce da lì. Quando mi sono trovato al cospetto di questi giganteschi murales fui estremamente affascinato dalla loro bellezza estetica e dalla loro potenza evocativa da volerne sapere di più, scavare più a fondo. Così è nato Bogside Story, un documentario dove si parla anche di arte attraverso la street art dei Bogside Artists e la fotografia, di Fulvio Grimaldi, due arti devote a tramandare la memoria, che trovano la loro sintesi nell’arte cinematografica, la quale per sua stessa natura è il mezzo più incisivo per raccontare una storia in quanto stimola nello stesso momento più sensi nello spettatore grazie alle immagini in movimento, ai suoni e alle musiche, e questo facilita il coinvolgimento emotivo. Inoltre il cinema e gli audiovisivi potenzialmente possono raggiungere tutti gli angoli del mondo. La visibilità che ti consente il cinema ti permette di far conoscere una storia al maggior numero di persone possibile. Questo è stato sin dall’inizio l’intento di Bogside Story. I Bogside Artists, Father Edward Daly, il premio Nobel John Hume, Michelle Walker, Betty Walker, Linda Nash, The Bloody Irish Boys che firmano la musica e soprattutto Fulvio Grimaldi hanno regalato una loro testimonianza significativa. Quanto è stato emozionante dirigere Grimaldi che quei fatti li ha raccontati e fotografati 46 anni fa? Sono immensamente riconoscente a tutti i protagonisti che hai citato non solo per aver accettato di partecipare a questo progetto ma principalmente per la grande esperienza di vita e le emozioni che mi hanno regalato durante le riprese e anche nella loro quotidianità. I racconti, gli aneddoti, vivere con loro ci ha fatto diventare amici. Oltre questo Fulvio è stato anche un maestro dal quale rubare i trucchi del mestiere. Una persona squisita, disponibile e altamente professionale. Sono stato a Derry molte volte ma ripercorrere Rossville Street, il Free Derry Corner e tutti i 12 murales che compongono la People’s Gallery ha avuto un sapore diverso. Vedere Fulvio commuoversi davanti al monumento in memoria delle vittime del massacro del Bloody Sunday ha fatto commuovere anche me. «How long, how long must we sing this song?» cantavano gli U2 nel 1982 ricordando il Sunday Bloody Sunday. Ad oggi, si muore ancora per difendere i diritti civili? Sicuramente nelle zone più difficili del mondo, nelle aree di conflitto, si muore ancora per difendere i diritti civili ma di questo non si parla tanto e quando lo si fa, il più delle volte la narrazione mainstream è errata, superficiale, viziata. Per questo il cinema indipendente e in particolare la forma del documentario ricoprono un ruolo fondamentale in quanto hanno il coraggio di raccontare storie scomode. Oggi in Irlanda del Nord non si muore più per difendere i diritti civili ma si patiscono ancora le sofferenze scaturite da tre decenni di conflitto. Derry è sicuramente la città che ha pagato il dazio maggiore e la comunità Cattolica della città lotta instancabilmente da quasi mezzo secolo per ottenere giustizia. Nonostante questa pace apparente, questa convivenza forzata, sono molte le iniziative in cui le due comunità lavorano insieme all’insegna della solidarietà e della comunione ma si tratta di progetti che nascono dal basso, non c’è una concreta volontà politica di abbattere le divisioni e le forti disuguaglianze sociali tra la due comunità. Inoltre, oggi, come conseguenza della Brexit, si sente parlare addirittura di ripristino del confine tra Repubblica d’Irlanda e Irlanda del Nord a dimostrazione del fatto che il conflitto nordirlandese sia ancora una questione aperta. La sua troupe di lavoro è composta per la maggior parte da ragazzi provenienti dall’hinterland cosentino, come mai questa volontà? È proprio così: Bogside Story rappresenta anche un piccolo orgoglio calabrese perché è stato realizzato interamente da professionalità calabresi che prima di essere colleghi sono amici. Pietro Laino è un ragazzo di Tortora che ho conosciuto all’università e con il quale ho lavorato nel corso degli anni e ho vissuto esperienze indimenticabili che ci hanno legato sul piano umano. Pietro con molti sacrifici e molto coraggio ha creato la Megapixell una casa di produzione indipendente che è ormai una realtà consolidata nel panorama romano. Pietro ha una preparazione e una conoscenza di tutti gli aspetti tecnici del mezzo cinematografico davvero invidiabile. Insieme abbiamo prodotto e realizzato Bogside Story con la collaborazione di Luca De Francesco, anche lui di Tortora, che ha curato l’audio di Bogside Story facendo un lavoro straordinario e last but not least di Francesco Abonante di Cosenza. Francesco è uno sceneggiatore eccezionale. La sua presenza è stata determinante per Bogside Story. In conclusione cito e ringrazio anche mia sorella Elena che ha realizzato la locandina del film. Quali sono i Maestri che l’hanno maggiormente affascinata e dai quali ha tratto ispirazione? Sono stato e sarò prima di tutto uno spettatore di cinema. Sono cresciuto con il cinema americano di genere apprezzando i registi della New Hollywood come Steven Spielberg, Martin Scorsese e in seguito entusiasmandomi per Quentin Tarantino, passando per i fratelli Cohen, fino a lasciarmi travolgere dall’onirismo esasperato del maestro David Lynch. L’università mi ha consentito di ampliare i miei orizzonti permettendomi di riscoprire i grandi Maestri del cinema italiano come Fellini, Rossellini, De Sica, Antonioni e di scoprire nuove cinematografie per me attraverso autori come Renoir, Bergman, Truffaut, Hithcock e tanti altri. Per quanto riguarda il documentario invece voglio citare il Maestro Vittorio De Seta dal quale ho attinto durante la preparazione di Bogside Story. I suoi prossimi progetti… La realizzazione di Bogside Story ha rappresentato per me la realizzazione di un sogno ma questo non mi ha affatto sentire appagato. Proprio in concomitanza dell’uscita di Bogside Story nelle sale sto lavorando al mio prossimo progetto che sarà nuovamente ambientato su di un’isola, solo che questa volta si trova nei mari del sud, e che vedrà come protagonista una donna che fugge da un terribile passato. Il resto lo saprete vedendo il film.
Castrovillari ha indossato ilsuo vestito più bello e si è fatta trovare pronta, venerdì 12 maggio, per accogliere la partenza della 7ma tappa della centesima edizione del Giro d’Italia.Intorno alle ore 11.50 i 191 ciclisti hanno sfilato lungo via Roma fino alla Madonna della Pietà, vero e proprio start della gara, che li ha condotti, nel tardo pomeriggio, a raggiungere Alberobello. Ben 224 km percorrendo la costa ionica alternando paesaggi montuosi a scenari marini, entrambi connotati da una struggente bellezza. E’ la terza volta che la cittadina del Pollino ospita il Giro: la prima nel lontano 1975 e la più recente (ben vent’anni fa) nel 1997, quando ad imporsi fu il russo Dimitri Konyshev. La Calabria ha ospitato, inoltre, 40 arrivi di tappa - il primo nel 1929 – e tra i vincitori di tappa più rappresentativi non possiamo non menzionare un fuoriclasse come Roger De Vlaeminck, oltre ai campioni del mondo di casa nostra Maurizio Fondriest e Paolo Bettini. La carovana del Giro, attiva già dalle ore 9.00 della mattinata di venerdì, ha intrattenuto ed entusiasmato le centinaia di persone intervenute per assistere a quello che può essere connotato come un vero e proprio“evento”. Gli stand dell’OpenVillage,posizionati lungo corso Garibaldi (adiacente al Palazzo di Città), hanno distribuito gadget e ospitato volti noti del mondo del ciclismo; mentre le varie strutture di supporto ai corridori e le diverse aree logistiche sono state dislocate in punti strategici della città per consentire la massima ergonomicità e funzionalità. A rendere speciale questa tappa castrovillarese è senza dubbio la concomitanza con la centesima edizione che glorifica uno sport longevo, basato sul sacrificio, sulla dedizione e sull’amore per la bici e una manifestazione radicata come nessun altra nel tessuto sociale italiano. La prima edizione fu nel 1909 fino ad arrivare ai giorni nostri, con due interruzioni: 1915- 1918 e 1941-1945, causa conflitti bellici. Il Giro100, partito il 5 maggio dalla Sardegna per concludersi il 28 maggio a Milano, vede come principali favoriti alla vittoria finale lo “squalo dello stretto” Vincenzo Nibali e il colombiano Nairo Quintana (già vincitore nel 2014, detentore della Vuelta e secondo al Tour de France 2015); tra gli outsider spiccano i britannici AdamYates eGeraintThomas, oltre all’olandese Bob Jungels (QuickStep Floors), che si è presentato in maglia rosa nella città del Pollino, dopo aver conquistato il primato sulle pendici dell’Etna. A rendere ancora più frizzante l’atmosfera è stata la presenza a sorpresa dell’attore americano Patrick Dempsey, testimonial di Tag Heuer - tra gli sponsor del Giro - e appassionato di sport e motori. Il dottor Stranamore di Grey’s Anatomy è salito sul palco del foglio-firma indossando una maglia rosa vintage e salutando la folla in visibilio con un caloroso: ″Ciao Italia″. Patrick si è detto felice di essere nel nostro paese ed ha aggiunto che: «sarà entusiasmante vivere questa esperienza alla partenza della tappa». In seguito, si è posizionato in testa al gruppo per dare il via alla competizione, evento unico negli ultimi anni del comprensorio e secondo, come portata,solo alla visita pastorale di Papa Francesco del 2014, che raccolse decine di migliaia di persone nella piana di Sibari.
Grande successo di pubblico per il 60o Carnevale di Castrovillari e Festival Internazionale del Folklore. In quasi 50 mila sono accorsi nella cittadina del Pollino per godere di uno spettacolo unico che ha raggiunto l’apice nella giornata di martedì 13 quando, sotto una pioggia battente, i gruppi si sono dati battaglia all’ultimo voto per aggiudicarsi il premio come migliore Gruppo Spontaneo del 26° Concorso per Gruppi Mascherati intitolato al compianto Franco Minasi, agguantato da “Il Bosco dei Valori” con 736 voti. Al secondo posto “Per Carnevale ogni pacco vale” con 710 punti e al terzo posto “Sbandierando il mondo con Allegria” con un totale di 635 voti. Nella categoria Scuola Primaria, vittoria per “Melting pot”con 657 seguito da “Giocolando con l'Arcobaleno” con 579. Mentre per la categoria Scuole Secondarie primo posto a “60 anni e non sentirli”, gruppo dell'Istituto Istruzione Superiore Liceo Classico - Liceo Artistico e Ipsia con 740 punti che hanno preceduto di soli due punti “60 Anni Brillanti… Siamo Tutti Diamanti” del Liceo Scientifico "Mattei", terzo “La Grande ris...ata” con 628 dell'IPSSEOA. Nella categoria "Carri" vittoria per "Il Bosco dei Valori" con 711 punti davanti a "60 anni brillanti" con 669, “King Kong” ha totalizzato 665 punti e "60 anni e non sentirli" 622. “La parata della Gioia”, curata da Tiziana La Vitola e Khadigia Russo, ha visto protagonisti i bambini mascherati che, con allegria e divertimento, hanno mostrato la vera faccia del Carnevale, quella della genuinità e della spensieratezza. Durante la manifestazione sono state premiate le scuole che hanno partecipato al 14o Concorso Artistico rivolto alle classi III, IV, V delle scuole primarie per la realizzazione del manifesto del Carnevale dei Bambini. Il riconoscimento è andato al disegno del “Clown” curato dalla classe III A del 1o Circolo Didattico – Plesso VIA Roma; 2o piazzamento per la IV B Villaggio Scolastico e al 3o posto le classi IV C-D del 2o Circolo di Castrovillari. La sfilata è stata aperta dalla Madrina del Carnevale, Giada Sartori accolta dai due speaker, Marco Graziadio e Arianna Blotta, posizionati nella parte alta del percorso. A capitanare le maschere, i gruppi folkloristici con i “Piccoli” e il “Gruppo della Pro Loco”, seguiti dalla delegazione del Brasile con “Cores e Magia”. La folla ha, infine, tributato il suo omaggio a Re Carnevale che, morendo, ha posto fine ai bagordi dando il via al periodo della Quaresima. La folla si è scatenata con il duo composto da Mimmo Palermo e Gian Carlo Pagano che ha coinvolto il pubblico con le coreografie curate da Danilo Di Marco. Inoltre si sono esibiti sul palco: Kalabria Orchestra, Giancarlo Pagliarunga, I Terraemares, I beddi di Sicilia, Maria Anna Nolè- Ragnatela Folk, Ciccio Nucera Emy Vaccari delle Muse, Peppe Sapone e Valentina Balistreri. Hanno espresso viva soddisfazione sia il direttore artistico, Gerardo Bonifati, che il presidente della Pro Loco, Eugenio Iannelli. Il sindaco della città, Domenico Lo Polito ha portato i saluti di Castrovillari al popolo del Carnevale. Presso il Teatro Sybaris, invece, è andato il scena il “Gran Galà” del Festival del Folklore. Una serata dove i gruppi partecipanti hanno dato spettacolo con scenografie, costumi, canti e balli tipici mediante l’interpretazione delle tradizioni culturali ed etniche del proprio paese di origine. Durante le giornate di festa si è svolta la “Coppa Carnevale di Tennis Tavolo” organizzata da Giuseppe De Gaio, consigliere regionale FITET Calabria e presidente dell’ASD Tennis Tavolo Castrovillari. Un appuntamento fisso quello della Coppa Carnevale che ha portato nella cittadina castrovillarese 70 atleti provenienti da tutta Italia che si sono sfidati nei tornei: Assoluto, Under 18, Veterinari, Promozionale e Paralimpico, nella palestra del Villaggio Scolastico della scuola Primo Circolo Didattico Statale. Lo sport è stato protagonista nel IX Torneo di Calcio “Coppa Carnevale” – Categoria Allievi e Juniores – a cura dell’A.S. D. Real Castrovillari, svoltosi presso lo stadio comunale “Mimmo Rende”.
C’è sempre stato un sottile e tragico filo a legare le terre del Pollino con la storia sventurata di John Paul Getty III. Era il lontano 10 luglio 1973, quando il nipote del tycoon del petrolio - John Paul Getty I, all’epoca dei fatti l’uomo più ricco del mondo grazie alla sua creatura: la Getty Oil Company, la cui figura di ricco magnate ispirò Walt Disney per creare il personaggio di Paperon de’ Paperoni - venne rapito in piazza Farnese a Roma mentre vendeva per strada quadretti e braccialetti hand made (fatti a mano). A rapirlo la ‘ndrangheta calabrese affiliata alle ‘ndrine dei Mammoliti, Piromalli e Femia che chiedevano un riscatto di 17 milioni di dollari. Tanto, troppo. Una cifra esosa da sborsare per riavere indietro la vita di quel sedicenne hippy, viziato e turbolento, che trascorse cinque mesi in una grotta in qualche sperduta rocca del Pollino. Una somma sconsiderata che nessuno era disposto a pagare, né il padre, eroinomane, tantomeno il nonno, gelido e spietato uomo d’affari. Solo la madre, Gail Harris, non si arrese e cercò in tutti i modi di convincere il suocero a pagare il riscatto. L’uomo cedette solo quando gli venne mostrato l’orecchio mozzato di Paul, insieme ad una sua ciocca di capelli rossicci e ad un messaggio che i rapitori avevano precedentemente fatto recapitare al quotidiano romano “Il Messaggero”. «Mandiamo al giornale questo orecchio perché la famiglia da tre mesi ci prende in giro dicendo che non ha soldi per pagare». Queste le secche parole che non lasciavano spazio a dubbi: gli avrebbero restituito il ragazzo pezzo per pezzo. Un miliardo e 700 milioni di lire fu la cifra che suo nonno pagò e che, in seguito, pretese gli venisse restituita con gli interessi del 4%. Paul venne liberato il 17 dicembre 1973 sull’autostrada Salerno-Reggio Calabria e ritrovato dal camionista, Antonio Tedesco residente a Viggianello, all’altezza di Lauria, in Basilicata. Da quel momento la vita di Paul non fu più la stessa. Contro il volere della famiglia si sposò a 18 anni con una modella e regista tedesca più grande di lui. La donna, all’altare, si presentò vestita di nera, episodio che fece infuriare il petroliere che diseredò il nipote. Paul ebbe un solo figlio, Balthazar, oggi attore di numerose pellicole e serie tv, tra cui Twin Peaks di David Linch. Paul si spense all’età di 54 anni nella sua tenuta di Wormsley Park, a Wormsley, nella contea di Buckinghamshire in Inghilterra; in seguito ad un ictus avuto all’età di 24 anni, conseguenza di un mix letale di alcool e droghe. A prendersi cura di lui solo la madre che abbandonò la sua boutique in piazza di Spagna e si dedicò al figlio divenuto, ormai, semicieco e paralitico. Il padre non volle saperne nulla, liquidando la faccenda con un’agghiacciante: «Se l’è cercata». Oggi, a distanza di anni, la storia dello sfortunato Paul Getty rivive grazie a due produzioni importanti: la serie tv “Trust” diretta dal premio oscar Danny Boyle e il film “All the money in the world” del premio oscar, Ridley Scott. Trust annovera nel cast attori del calibro di Donald Sutherland (John Paul Getty I), Hilary Swank (Gail Getty) ed Harrison Dickinson (Paul), la cui messa in onda è prevista per gennaio 2018 su Fox. La serie è stata girata tra Londra, Roma, i Parchi Nazionali del Pollino e della Sila, Camigliatello Silano, Civita, Orsomarso e la Basilicata. Sarà proprio il piccolo borgo arbëreshë, già bandiera arancione e “Borgo più bello d’Italia”, a regalare i suoi scenari mozzafiato e ad impreziosire la seconda puntata della serie che conta un totale di 10 episodi. Lo stesso entusiasmo provato dalla comunità civitese è il medesimo mostrato dalla cittadina di Orsomarso, fiera di ospitare un set tanto prestigioso. «Siamo felici che Orsomarso sia stata scelta per girare questa importante serie, grazie alle sue caratteristiche ambientali e naturalistiche. Come amministrazione - dichiara in una nota il sindaco De Caprio - abbiamo sposato il progetto perché crediamo che, per il turismo e lo sviluppo del territorio, il cinema sappia apportare più vantaggi di qualsiasi altra azione di marketing diretto. Noi vogliamo che questa esperienza filmica diventi per gli amanti della serie televisiva un motivo di viaggio e di destinazione, ovviamente verso Orsomarso e la Calabria, in generale». All the money in the world si lega, invece, indissolubilmente a Castrovillari per la presenza tra gli attori di un nostro talentuoso concittadino, Giuseppe Bonifati attivo da numerosi anni a livello internazionale e sopraffino regista teatrale. Si divide, infatti, tra l’Italia e la Danimarca con la quale collabora dal 2008. Nella pellicola in uscita il 22 dicembre, Bonifati interpreterà il ruolo di Giovanni Iacovoni, avvocato di Gail Harris (Michelle Williams), durante il processo tenutosi a Lagonegro e che vide alla sbarra il gotha delle cosche dei Piromalli e dei Mammoliti. Il processo terminò con due condanne e sette assoluzioni, anche se cinque degli assolti furono condannati per altri reati. I due imputati, riconosciuti responsabili del sequestro, erano “manovali”, mentre gli unici due personaggi di rilievo accusati, Girolamo Piromalli, detto “Momo”, venne assolto per insufficienza di prove; Saverio Mammoliti detto “Saro”, invece, fu condannato per traffico di stupefacenti e associazione a delinquere. In Corte d’Appello, a Potenza, le pene furono ridotte per tutti. Tranne poche banconote ritrovate, il grosso del riscatto sparì nel nulla. Nel cast, oltre a Bonifati, anche Mark Wahlberg, Timothy Hutton, e Christopher Plummer (nel ruolo di J. Paul Getty I) che ha recentemente preso il posto di Kevin Spacey, le cui scene sono state rigirate in seguito alle accuse di molestie sessuali. Seguiremo con attenzione queste due produzioni. Vedere sul grande schermo i nostri paesaggi più rappresentativi e le nostre leve più capaci ci riempie di orgoglio e ci fa sperare di aver reso un degno servizio ad un giovane uomo i cui soldi non sono riusciti a donargli quell’affetto di cui forse aveva più bisogno.
Ci sono sport che nascono e crescono nell’ombra. Ci sono atleti che maturano nell’anonimato. I riflettori si accendono su di loro solo in occasione dei grandi appuntamenti sportivi. Ed è lì che ci accorgiamo, anche con una certa buona dose di senso di colpa, che al di fuori degli sport più blasonati c’è una galassia di discipline “minori” dove ogni giorno, e con fatica, si allenano campioni e campionesse umili, abituati alla fatica, schivi ma che al momento opportuno sanno tirare fuori le unghie regalandoci enormi soddisfazioni. Il mondo del sincronizzato è da sempre una dimensione affascinante, costellato da quelle graziose creature che, in abiti scintillanti e con la colla di pesce a tenere fermi i capelli, creano delle magie in vasca muovendo le gambe e le braccia a tempo di musica. Uno sport duro che negli anni è cresciuto tantissimo e che tra le sue più grandi stelle annovera la nostra conterranea Mariangela Perrupato. «Se vi è una magia su questo pianeta, è contenuta nell'acqua». Quanto ti rispecchi in questa citazione dell'antropologo statunitense Loren Eiseley? L'acqua per me è vita. Per oltre 20 anni è stata la mia seconda casa. Sicuramente il mio habitat naturale. Dagli esordi all'Europeo del 2004 in Polonia a Budapest 2017, quanto rimane di quella ragazzina che scoprì il nuoto a sei anni? Oggi mi sento la stessa ragazza di ieri, con qualche anno in più sicuramente, ma l'entusiasmo e la voglia non sono mai mancate. Credo che questa sia stata la caratteristica che più mi ha contraddistinto in tutta la carriera agonistica. "Soffri ma sogni", come amava ripetere Pietro Mennea. Ho sofferto, affrontato un'operazione alla schiena, ma n'è valsa la pena. Senza il supporto delle Fiamme Oro avresti potuto ottenere tutti i traguardi che hai raggiunto? Assolutamente no. Senza le Fiamme Oro, probabilmente, a livello di squadra il gruppo storico della Nazionale non avrebbe potuto centrare la qualificazione ai Giochi di Rio 2016. Sicuramente molte di noi avrebbero smesso prima. Perché questo è uno sport che a livello di emozioni vale oro ma passare tutta la giornata ad allenarsi significa anche sacrificare studio e affetti. La fortuna di poter nuotare assicurandosi un futuro lavorativo, specialmente in tempi di crisi, è stata fondamentale. In merito al sincro misto in coppia con Giorgio Minisini, quanto ti è sembrato strano, all'inizio, allenarti con un uomo? Devo ammettere che allenarsi al fianco di un ragazzo, dopo aver passato una "vita" sportiva al fianco di quelle che sono diventate amiche ancor prima che compagne di squadra, all'inizio è stato strano. Ma allo stesso tempo è stato facile adattarsi perché quando un gruppo è affiatato l'inserimento di una persona, in questo caso di un bravo ragazzo, è sicuramente più semplice. Secondo la tua esperienza, in Calabria, ci sono le strutture necessarie in grado di supportare una giovane leva che vuole intraprendere il sincronizzato? Non conosco tutta la situazione calabrese a livello d'impianti. Sicuramente il Sud paga la difficile situazione in cui versa il Paese. I tantissimi ragazzi che praticano sport meritano il meglio. Perché lo sport è vita, impegno, sacrificio e soddisfazione. E anche un rimedio per allontanare i giovani dalla strada. Quanto ti senti legata al tuo paese natale, Saracena? Saracena è il posto dove sono nata e cresciuta fino all'età dei 6 anni (oggi vive in Liguria N.d.r.). Lì abitano mia nonna e i miei parenti. E' un paesino piccolo ma speciale. Che porto sempre nel cuore. Tornarci è sempre bellissimo. Intendi partecipare alle Olimpiadi di Tokio 2020 e in caso di ritiro anticipato, come ti vedi in futuro? In un ruolo interno al movimento o preferiresti dedicarti ad altro? La medaglia d'argento ai mondiali di Budapest è stata una delle soddisfazioni più grandi. Sicuramente il miglior risultato ottenuto in carriera. Poi è arrivato il matrimonio e quindi la decisione. Difficile, sofferta, ma ragionata. Nei primi giorni di ottobre ho maturato la volontà di smettere. Adesso faccio l'allenatrice. Per il momento mi occupo di nuoto ma in futuro sogno di occuparmi di nuoto, sì, ma sincronizzato. E trasmettere a tutte le ragazze che vorranno il mio entusiasmo e la passione per questo bellissimo sport. La più grande emozione e la maggiore soddisfazione della tua carriera? La qualificazione con la squadra alle Olimpiadi di Rio rappresenta sicuramente la più grande emozione. La medaglia d'argento a Budapest, come detto precedentemente, la soddisfazione personale più grande. E la più grande delusione? La mancata qualificazione ai Giochi di Pechino 2008. Ci siamo andate davvero vicine. Ma fortunatamente, 8 anni dopo, abbiamo avuto la possibilità di rifarci. I tuoi prossimi obiettivi? Avere dei bambini, sicuramente. E' il mio sogno e anche quello di mio marito. Per quel che riguarda il lato lavorativo, invece, mi piacerebbe rappresentare un punto di riferimento, magari come tecnico, di molte atlete. Perché il nuoto sincronizzato era, è e sarà sempre una parte fondamentale della mia vita.
La mafia uccide solo d’estate – La serie in onda su Rai Uno ogni lunedì ha sbaragliato la concorrenza facendo registrare ascolti lusinghieri. Ispirata all’omonimo film rivelazione di Pif, al secolo Pierfrancesco Diliberto, la fiction nasce con lo scopo di raggiungere un vasto pubblico raccontando il fenomeno mafioso attraverso il punto di vista di una normalissima famiglia siciliana: i Giammarresi; composti da padre impiegato, madre supplente, sorella rivoluzionaria femminista e figlioletto che osserva curioso il mondo nel suo evolversi. Ben presto i quattro protagonisti - ai quali si accompagna lo zio guascone e un filo superficiale - si ritrovano, loro malgrado, ad intrecciare le proprie vite con alcuni episodi chiave della storia siciliana. L’amicizia che il piccolo Salvatore instaura con il commissario Boris Giuliano prima e con il giornalista Mario Francese poi, è la spia di una volontà ben precisa di analizzare i fatti dal focus di chi le vicende, e le relative conseguenze, non le ha vissute in prima persona ma le ha subite. Inerme. Siamo ben lontani dalle atmosfere cupe, seriose ed a tratti lugubri alle quali la fiction nostrana ci ha abituati ogni qual volta ci si confronta con tematiche tanto importanti. Be’, in questo caso, occorre ringraziare la scrittura fresca, innovativa, veloce, salace che incarna lo stile scanzonato di Pif. L’ironica è l’arma che scardina una narrazione che altrimenti sarebbe risultata come un copia e incolla già visto. Ridicolizzando i mafiosi li si fa apparire per quello che sono, ovvero sia dei perdenti. In La mafia uccide solo d’estate – La serie non c’è il fascino del male che si può trovare in Gomorra, non c’è spiraglio per fraternizzare con il nemico o desiderio di emulazione. Il solco in cui nasce e si sviluppa la fiction è quello tracciato anni or sono da Peppino Impastato con la sua Radio Aut. Quello che più spaventa i professionisti del crimine è la sagacia accompagnata da un cervello pensante che consente di non nasconderti ma di reagire. Con ogni mezzo a disposizione.

L’America ha scelto Trump

Mercoledì, 09 Novembre 2016 17:04
Le elezioni americane e la conseguente vittoria del repubblicano Donald Trump sulla democratica Hillary Clinton ci lasciano un grande insegnamento: tutto ha una fine, anche il sogno americano. La notizia della vittoria del tycoon newyorkese giunge in Italia alle prime luci dell’alba, dopo una notte di sondaggi, proiezioni, maratone televisive fiume con il sentore che si fa sempre più una certezza ovvero sia che la Florida, da sempre tra gli stati in bilico, avrebbe dato corpo e volto al più grande errore della storia democratica. Il numero dei senatori necessari per decretare il 45o presidente degli Stati Uniti d’America c’è, è tutto pronto, servito su di un piatto d’argento per l’ingresso di Donald davanti ai suoi elettori radunati nel quartier generale di New York. Con spocchiose ed altisonanti parole, degne del suo stile “chiassoso” e sopra le righe, il neo presidente ringrazia tutti e, a poco a poco, ti ritrovi a guardare sullo schermo un sogno che si sgretola, parola dopo parola. E non mi riferisco all’auspicio di vedere alla Casa Bianca una donna, sarebbe stato un notevole segnale di civiltà, ma alla consapevolezza che l’american dream er a solo un concetto utopico favoleggiato dai beat e durato una manciata di anni. La vittoria di Trump ci conferma la tendenza del momento, o per meglio dire leva solo la polvere nascosta da sotto il tappeto. Ci siamo illusi che potesse essere rimossa semplicemente dimenticandola. L’election day ci ha dimostrato che il bulletto ha sempre la meglio, che il denaro può tutto, che la deriva populista ed estremista sta intaccando le fondamenta della società, la sta infettando, distruggendo anche quel briciolo di umanità e di empatia tra gli individui che faceva di noi degli “esseri umani.” Questa nuova società è una società del “tutti contro tutti”, dove vige la legge della giungla, dove ha la meglio chi infanga di più l’altro a colpi di accuse, veleni, degne di un’elezione comunale di un qualunque paesino sperduto, non di una grande potenza mondiale. E’ l’apogeo della disperazione di una middle class arrabbiata, offesa, incattivita. Quello che ci resta di questi giorni compulsivi è una brutta pagina di una pessima politica. Cosa diremo al figlio del contadino dell’Alabama che vuole diventare qualcuno, o alla donna madre e moglie che aspira ad un’indipendenza economica, al ragazzino preso in giro a scuola perché omosessuale, alle persone di colore, alle giovani violentate da uomini arroganti che si credono i padroni del mondo? Cosa diremo? Diremo, forse, che l’America non è più il paese dove ognuno può diventare ciò che vuole? Nel giorno in cui ricorre l’anniversario della caduta del muro di Berlino la speranza è che non vengano eretti altri muri.
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