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Terzigno, la politica delle sensazioni: tutto quello che abbiamo visto In evidenza

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Il primo dibattito pubblico. Un paese in fermento, le decisioni elettorali alle porte. Le incertezze da sciogliere in tempo, prima di poter mettere in maniera consapevole la penna su di una scheda. La popolazione si incammina e si ferma in un punto, per ascoltare.  Nelle parole dei candidati che si sono susseguite abbiamo visto tante cose. Abbiamo visto il futuro nella generale voglia di valorizzazione del territorio, nell’aspettativa di un’attiva partecipazione della popolazione, nell’intraprendenza, nell’incremento economico, nella lealtà. Abbiamo visto speranza nei nostri giorni. Abbiamo visto la determinazione di ideali giovani, traboccanti di sani e giusti progetti e abbiamo capito che non si è mai troppo giovani per avere idee già grandi. Abbiamo visto pensieri discordanti tra chi è favorevole all’integrazione straniera nel nostro paese e chi, invece, non lo è. Abbiamo visto, poi, nostro malgrado, sull’altra faccia della medaglia, le promesse mancate che si ripropongono come spettri, il passato che diviene colpa di un qualcuno che non esiste. Con la stessa spudoratezza di un marito che tradisce la propria moglie e continuerà a farlo anche dopo il perdono. La svolta sta nell’avere la forza di dire «Oggi decido io. Decido io se farmi manipolare oppure no, da chi e quando. Decido io». Abbiamo visto i problemi di Terzigno scivolarci davanti agli occhi come oggetti rinnegati e lasciati marcire dentro di noi: le strade sconnesse, l’inquinamento dilagante, l’assenza che altrove è presenza, la morte che bussa in ogni casa ed ha nome “cancro”. Abbiamo visto il nostro passato, così come è scivolato, e ci siamo chiesti «perché?». Perché non lasciarlo finire, “questo passato di cui non siamo felici”, perché non compiere la rivoluzione della democrazia umana. Ci sono persone che non ci sono più per i troppi errori compiuti con troppa leggerezza negli anni trascorsi. Abbiamo visto i volti disillusi dei cittadini seduti ad ascoltare. C’è bisogno che qualcuno restituisca loro fiducia. Un primo cittadino sa scendere tra il popolo e sa sporcarsi le mani insieme alla sua gente per dire «io sono come voi, io con voi». Occorre coraggio per reggere migliaia di sguardi a cui spiegare il rendiconto delle proprie azioni. La dignità di esistere. La dignità di dire «sono sereno perché ho fatto la cosa giusta». La dignità di uscire di casa e incontrare sorrisi. La dignità di lasciare questo mondo e lasciare di se’ un bel ricordo. Abbiamo guardato negli occhi tutte le persone perché troppo spesso in passato le persone hanno chiuso gli occhi per non guardare. Abbiamo visto e sentito cose che non avremmo voluto vedere e sentire e ci siamo accorti che ascoltare soltanto non basta, e che tutti i sensi non bastano per percepire le intenzioni di chi ci è di fronte. Abbiamo visto il popolo ribellarsi: il dolore, quando non ne può più, grida. Abbiamo visto un candidato dire a voce alta «stai zitta!» ad una donna che, prima di essere donna è cittadina, e prima di essere cittadina è una persona. Ed è in quel momento che abbiamo capito che nulla è cambiato da secoli ad ora, nelle grandi come nelle piccole realtà, e che la democrazia è un concetto usato male da chi se ne appropria senza il dovuto rispetto e amore verso gli altri. E abbiamo capito che i veri politici siamo noi, che di politica non sappiamo nulla. Sono tutti coloro che guardano le cose e le interpretano giuste o sbagliate, per buon senso e non per convenienza. Sono tutti coloro che vogliono lavorare con le proprie forze e con le proprie capacità e non ottenere un impiego in cambio di un voto. Sono tutti coloro che si aiutano a vicenda fuori dalle mura istituzionali. Sono tutti coloro che restano in disparte dalle “cariche”, ma che si “caricano” e prendono a cuore i problemi degli altri, quasi come si trattasse di propri problemi. E abbiamo capito che andare a votare ci salva dalla distruzione lenta in cui siamo da tempo caduti, ci salva dal desiderio di scappare lontano da qui, ci salva dalla corruzione. Non occorrono titoli di studio, non occorrono amicizie potenti, non occorrono compensi e compressi, occorre –proprio come ha delicatamente pronunciato un candidato- cuore. Soprattutto cuore. Cuore nell’andare a votare e non solamente la sola mente. La ménte, talvolta, mènte.