Sabato 26 Gennaio 2013 00:00    Stampa
Auschwitz: un inferno ...coperto di neve
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Rubrica - I Ritorni
Il tempo è un flutto veloce. Attraversarlo ci dà l’umana esperienza di avere un giorno in più. Non sottrae quando va avanti, ogni giorno è un’addizione: che sia un dolore, che sia una gioia o una boccata d’aria pura, aggiunge. Aggiunge e mai toglie, anche quando il tempo è ladro di persone, amori, eternità. Chi non ha ricordi non è ancora nato. E arriva il tempo in cui il dolore universale diviene anniversario, quando uno dei giorni più freddi dell’anno diviene “giorno della memoria”. 
Chissà quante volte sarà rimbombato nel cuore degli innocenti il pensiero che “il partire sia un pò come morire”. Arrivavano al campo carovane di prigionieri, come tante nuvole ammassate nel cielo prima del temporale. Non erano distruzione, non erano tempesta: si tratta di esseri umani nati e vissuti in un periodo e in un posto triste. Al loro arrivo, erano costretti ad indossare dei triangoli colorati sugli abiti, al fine di qualificare visivamente il tipo di offesa per la quale erano stati internati. Lì divenivano le cavie dell’esperimento della follia: in molto venivano utilizzati come manichini per sperimentazioni mediche, i più venivano eliminati nelle camere della morte. Si può dire che sia un “esperimento fallito” quello che non termina come si era previsto in precedenza?
 
Nei piani del regime nazista c’era la distruzione sistematica delle razze cosiddette “inferiori”. 
“E’avvenuto- ha scritto Primo Levi-,quindi può accadere di nuovo.”
Chi è uscito dai campi di fuoco con occhi ancora aperti e gambe ancora in grado di scappare, ha coltivato km di silenzio dentro. Quanto a noi fa male parlare di un dolore personale: si riesce a parlarne solo quando lo si supera almeno un pò. Testimoniare vuol dire innanzitutto chiamare ad alta voce il proprio dolore.
 
Chi ne esce vivo non ne esce per forza salvo. Tutto riconduce allo stesso posto:
cade sempre la neve nera su ogni paesaggio, ogni filo è un filo spinato, la felicità è macchiata di assenze sul corpo e sull’anima. C’è chi chiama gli eventi, il ritorno e il resistere ad essi, con nomi diversi: non cambia quello che si dice, cambiano le persone e quello che hanno dentro. Una parola o un gesto cattivo muoiono all’istante e distruggono e impoveriscono chi li compie. I gesti d’amore hanno vita lunga: rendono grande chi li fa e chi li riceve.
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