Lunedì 07 Novembre 2011 00:00    Stampa
Terzigno, novembre 1921
Rubrica - I Ritorni
La Grande Storia non si è scordata di noi. Siamo stati noi ad andarla a cercare nei freddi ripari scavati nella terra bruna o a sorprenderla sulla pianura di neve e grano mozzato, dove i colpi cadono come pioggia a novembre. I contadini non sono mai stati addestrati a combattere. Partivano armati di forza, pazienza e speranza. La forza appresa nella stagione della semina, quando il terreno ha bisogno di essere amato. La pazienza coltivata nelle calamità invernali del lungo riposo e dell’attesa spoglia. La speranza fortificata sotto il sole cocente dei raccolti. I giovani non tornavano sempre. Quando accadeva, ritornavano dimezzati nel corpo e raddoppiati nell’anima per tutto quello che era passato sotto i loro occhi. Ritornavano scontando il peccato di essere sopravvissuti. Le donne attendevano mute alla finestra. Contavano i giorni che andavano e quelli che ancora mancavano, senza saper contare. Leggevano lettere febbricitanti che odoravano di paesi lontani, senza aver mai imparato a leggere. Le guidava il vergine istinto di madre, che non può sbagliare.
L’onore virile suggerisce che una guerra è valida sempre. L’amor di patria promette gloria ai vincitori, ma non la rende alla povera gente che l’ha conquistata e sofferta. Domandarsi le finalità di una guerra sarebbe immancabile e piuttosto retorico. Scaturirebbe, inoltre, nell’astratto perbenismo di circostanza e nella scopiazzatura di ideali filosofici validi per la pace interiore del singolo, non per l’intero mondo, visto quanto abisso di diverso c’è in noi. A cosa serve, ecco.
Ognuno ha una sua risposta personale ereditata da citazioni ed alienazioni varie. Chi parla di riciclo generazionale, chi di equilibrio economico, chi di affari politici o diatribe religiose. Chi ci è passato afferma che combattere tanti contro tanti serve “a farti vedere la vita e la morte mischiate e confuse e a farti scegliere dove voler rimanere”. Io non so quale sia il momento migliore tra tutti quelli peggiori. Non so se ci sia un prima di esaltazione ed odio che sovrasti il dopo(guerra) di catene slegate, stasi e ferite nazionali. So che l’uomo ha bisogno di soffrire per capire di essere stato felice un tempo. Giuseppe Ungaretti, dai campi di battaglia scriveva lettere piene d’amore che sarebbero diventate famose poesie, in cui diceva: «non sono mai stato tanto attaccato alla vita».
Siamo ancora nei limiti del nostro paese per ricordarci di chi eravamo. Siamo ancora qui, per nostalgia di non esserci troppe volte. I nomi dei nostri eroi concittadini che combatterono nella prima guerra mondiale (1914-1918) sono scritti su una lastra del monumento dei caduti in guerra, eretto in piazza Troiano Caracciolo del Sole.
Non tornarono loro, tornò il loro ricordo immortale.

Caddero nella guerra

Che distrusse l’impero austro-ungarico

E restituì alle Alpi

Il giusto confine d’Italia.

Perché dei nomi gloriosi

Il ricordo sia eterno

I cittadini di Terzigno

Lo vollero qui

Scolpire Nel marmo.

NOVEMBRE 1921

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