Lunedì 12 Dicembre 2011 00:00    Stampa
Poveri e giovani per sempre
Rubrica - I Ritorni
Siamo noi in tanti o sono in tante le nostre priorità?Qualche giorno fa ho intercettato una disturbata frequenza alla radio.  Parlava di un’odierna situazione economica in toni catastrofici ed epidemici.
Ci incamminiamo al riparo dal carovita a “piedi scalzi”, come conseguenza di un carburante che aumenta peggio di un lento castigo, o come preludio di averne le tasche vuote, in quanto a spiccioli e in quanto a speranze. Poveri e giovani per sempre è lo stato attuale che ci rappresenta; vittima, a quanto si dice, di uno Stato tiranno. La crisi per i prezzi e le tasse in continua salita ci rende poveri, le pensioni postecipate ci allungano i tempi della”gioventù”, perché, alla fine del lavoro e della forza di cui ci serviamo per sostenerlo, diamo, per antonomasia, il nome di vecchiaia. Un riposo dalla vita che è passata, senza essere vista. Un ritrovo. Il 6 dicembre del 2003 a Roma si mobilitarono Cgil, Cisl e Uil per protestare contro la riforma pensionistica sancita; secondo cui, a partire dal 2008, si sarebbe potuti andare in pensione solamente a patto del compimento dei 40 anni di contributi versati e con un’età di 65 anni.
A distanza di otto anni da allora, è ancora dicembre ed è ancora riforma. Come il tutto si sia concluso, in questa settimana accesa, lo sapete bene, lo sanno bene i lavoratori. Se otto anni fa i 65 sembravano tanti, ora sembrano consolanti rispetto ai saliti 67. L’economia che non parte e la gente che si lamenta non per una, ma per mille cose che non vanno bene, sono facce di una stessa medaglia: è come un ciclo continuo che si prolunga. Mentre i soldi si perdono e si sciupano per strada a causa di tutti quei rincari non pianificati, il malcontento segue alle calcagne, senza occhi e mani per raccoglierne.
 E’ il 12 dicembre 2004 quando Silvio Berlusconi così afferma: “I leader della sinistra italiana sono eredi dei metodi del Pci. Se la sinistra prenderà il governo non ci sarà né alternanza, né democrazia. Il cambio lira-euro è un disastro provocato da Prodi. La lira è stata svenduta”. Non c’è da dargli torto, almeno in questa remota occasione. La lira ci nutriva, l’euro ci sostenta appena. Ma la colpa non è nel cambio moneta o in chi l’ha approvata, la colpa è in chi ne ha fatto sin dal principio uno strumento per guastare i commerci e avvelenare i guadagni. Tutto si è dimezzato, non solamente numericamente, ma soprattutto nel valore che la nostra mente attribuisce ai beni materiali e non. Penso alla disperazione di chi convive già da tempo con vestiti sporchi di sacrifici. Penso a chi è prossimo alla pensione e dovrà aspettare ancora tanto. Questo tempo non è mai breve quando trascorre trascinato con le catene.  Poi penso a chi ha un nome che vale migliaia di euro, a chi rinuncia a due fra i prodigiosi stipendi assegnatigli ed ha nelle mani il destino dei resoconti di fine giornata di un' Italia intera, nessuna famiglia esclusa. Se l’Italia cade nel suo stesso mare, chi la sostiene se non chi vi cammina sopra? La patria è come un padre anziano ormai malato, hanno la stessa radice linguistica ed ambedue le parti hanno bisogno di un figlio a cui affidarsi, quando la vecchiaia avanza con le chiome bianche e i movimenti lenti.L’Italia è un paese ormai vecchio, ma c’è ancora chi vuole farlo correre senza incorrere nel fiatone. Quanto nero c’è in  tutto il lavoro che si produce con braccia che non hanno nome. Quanto lucro smoderato e vittoria inconsistente. Lo Stato vuole essere al corrente dei nostri smistamenti economici e dei nostri depositi bancari, ma non credo che, in tal caso, tutto filerebbe regolare. Ognuno crede di agire nel bene comune. Il cittadino ha le sue ragioni ed anche il capo di Stato ha le sue.
Siamo sempre persone. Persone che, nei tempi felici,venderebbero l’anima per costruire un grande impero, ma che, di fronte ai grandi dolori della vita, non riusciranno mai a salvarsi la pelle e la serenità, nemmeno con tutte le ricchezze di questo mondo. Le occasioni per stare meglio ci sono state e non sono quantificabili come le banconote di carta sudata rintanate nei cassetti e nei portafogli. Le nostre mancate occasioni sono giorni spenti che non torneranno più, nemmeno nel loro faro di buio perso.
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