Il film, se cosi possiamo benignamente definirlo, promette tutto eccetto risate a crepapelle come nel capitolo precedente. Proprio l’effimera illusione di rivedere sul grande schermo le mirabolanti imprese del celebre Cetto La Qualunque ha condotto numerosi ignari spettatori ad accorrere fiduciosi ai botteghini. Dopo pochi minuti di visione però, ci si accorge subito della differente qualità del prodotto di Albanese caratterizzato da un coacervo di immagini barocche, eccessive, ipertrofiche spesso surreali che spiazzano l’esigente utente.

Il comico di origini siciliane divide ma non impera la sua pellicola con la presenza di altri due discutibili personaggi quali Frengo, inguaribile consumatore di marijuana nonché Pr e il leghista Rodolfo Favaretto convinto razzista e secessionista. I tre si alterneranno sullo schermo con poco esilaranti gag fino a quando tutti legati a filo doppio con il carcere e quindi con la politica, vengono cooptati dall’italico Parlamento per non far cadere il Governo di Maggioranza. Tra problemi di virilità di Cetto, propositi poco fecondi di tagliare in due l’Italia di Favaretto e tentativi vani e quanto mai irreali di beatificazione da vivo di Frengo le risate sono più latitanti di Totò Riina. La storia termina con un esilio forzato dei tre dopo aver disatteso tutte le promesse cui si erano sottoposti per assumere il ruolo di onorevoli. Tra sguaiate, distorte e spesso cafoni rappresentazioni della politica italiana dai costumi quasi orribili il nuovo capitolo della saga del Qualunquismo politico promette ahinoi forse di ripetersi in un terzo e speriamo meno agghiacciante film. L’impegno del comico brianzolo non viene a nostro modesto avviso ripagato da un risultato degno  e “senzadubbiamente” il film è destinato a non restare una pietra miliare dell’agonizzante cinema Italiano e parafrasando un celebre epiteto ripetersi e confermarsi è sempre più difficile.