Il 21 giugno è la Giornata mondiale del Selfie
Giovedì, 21 Giugno 2018 11:50 Scritto da Paola Gentile
Nel 2013 il corrispettivo italiano di “autoscatto”, è stato inserito nell’Oxford English Dictionary ed è stato definito come “la parola dell’anno” e viene celebrata il 21 giugno.
La febbre da selfie ha coinvolto tutti, da Obama al Papa . Si vip che nip non rinunciato ad immortalarsi nei posti più svariati.
Come tutte le cose occorre usarle con moderazione. Ci sono infatti giovani che, pur di ottenere qualche like sui social, metteno in pericolo la loro vita ritraendosi sui binari dei treni o in situazioni pericolose ed estreme.
A questo proposito c’è chi inizia a vietarli: all'ultimo festival di Cannes il curatore Thierry li ha banditi dicendo che "9 volte su 10 sono brutti".
Il bisogno ossessivo di postare selfie, definito 'selfite' è stato definito un vero e proprio disturbo mentale da uno studio della Nottingham Trent University e della Thiagarajar School of Management in India pubblicato a dicembre 2017. Ha esaminato il fenomeno scoprendo che non solo la patologia esiste ma ci sono tre categorie: quella cronica, quella acuta e quella borderline.
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Venezia74. Jululu trionfa nella sezione MigrArti
Venerdì, 22 Settembre 2017 17:05 Scritto da Paola Gentile
Jululu ha vinto la sezione MigrArti 2017, all’interno dell’ultima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia , aggiudicandosi il premio come miglior regia, assegnato aMichele Cinque.
Il cortometraggio, già trionfatore della II edizione del bando MigrArti promosso dal Mibact, visibile sulle piattaforme online e da ottobre su Rai 1, nasce da un’idea di Sestilia Pellicano - calabrese DOC, i suoi natali sono infatti made in Frascineto (Cosenza), nonché presidentessa dell’associazione culturale “Pretiosa Project”- e di Yvan Sagnet, attivista camerunense ed esponente della rivolta dei braccianti in Italia del 2011, testimone chiave al processo SABR. La sentenza, emessa dalla Corte d’Assise del Tribunale di Lecce nel luglio scorso, ha riconosciuto per la prima volta in Italia il reato di “riduzione in schiavitù” e condannato in primo grado “caporali” e imprenditori agricoli salentini che costringevano gli immigrati a lavorare nei campi in condizioni disumane, contravvenendo ad ogni forma di civiltà e giustizia sociale.
Prodotto da Lazy Film srl in collaborazione sinergica con le associazioni culturali “Pretiosa Project” e “Ghetto Out - Casa Sankara”, Jululu è l’anima collettiva africana che, errabonda, si rifugia in quel pezzetto d’Africa che colora il sud Italia. Attraverso i volti e le voci dei due protagonisti,Yvan Sagnet e BadaraSeck- noto musicista griot senegalese e custode della tradizione orale degli avi - riusciamo a penetrare all’interno delle problematiche riguardanti lo sfruttamento dei braccianti nei terreni agricoli, alla logica del profitto estremo e della finanza speculativa che impone prezzi da fame ai produttori agricoli italiani e alla filiera lunga. Quello che si leva dalle ampie coltivazioni di Terra di Capitanata, in provincia di Foggia, è un grido di denuncia che trova la sua catarsi nella fotografia di Stefano Usberghi e nella voce straziante diSeck, vera e propria guida sciamanica.
«Qui ci sono i caporali ma i generali siedono nelle multinazionali» sostiene Sagnet, recentemente insignito del titolo di Cavaliere dell’Ordine al Merito della Repubblica italiana.
La giuria di Venezia74, presieduta dal regista e scrittore Francesco Patierno, con Jululuha voluto premiare la capacità di aver: «sfruttato ed indagato tutte le possibilità del mezzo e delle modalità comunicative cinematografiche, offrendo allo spettatore un film in grado di animarsi soprattutto di meravigliose intuizioni e ottima capacità di messa in scena».
«Non è possibile effettuare il cambiamento senza una certa dose di follia» - riflette Yvan - «Ci sono voluti i pazzi di ieri per permetterci di agire oggi. Voglio essere uno di quei pazzi, dobbiamo avere il coraggio di inventare il futuro». Gli fa eco il regista: «Questo piccolo filmè dedicato alla capacità di inventare il futuro, come dice Yvan sul finale, prendendo in prestito alcune parole da Thomas Sankara. Penso che il futuro dipenda, ora più che mai, dalla capacità di immaginare un altro mondo possibile e lottare per costruirlo».
Chiosa infine l’ideatrice del corto, Sestilia Pellicano: «I canti dei Migranti mostrano anche i “segni” del lungo e doloroso viaggio verso lʼItalia. Cantando e suonando insieme, i musicisti africani trovano così un “nuovo canto”, una musica che, nel solco della tradizione, esprime lʼesperienza e i rischi del viaggio, dello sfruttamento, ma anche lʼattesa, la speranza, la ricerca».
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Sciammarella Tango. L’Orchestra al femminile fa rivivere il mito di Blacaman
Mercoledì, 10 Gennaio 2018 11:47 Scritto da Paola Gentile
Un vecchio spartito “Gordinflòn” trovato per caso su di una bancarella al mercato di San Telmo. Un’omonimia condivisa con un mito della musica argentina. La scoperta di avere le medesime origini: Paola, Cosenza. La decisione di cambiare vita. Abbandonare la fisica, con un dottorato di ricerca in tasca e una specializzazione in studio della voce presso l’organizzazione di Ricerca Statale francese (CNRS), per dedicarsi totalmente ad una passione travolgente, quella del tango. Sembra il soggetto adatto ad un film, invece è quello che è capitato a Denise Sciammarella che, sulla scia di un sentimento viscerale per la musica, ha fondato nel 2013 il gruppo Sciammarella Tangonel quale lei è voce solista. Un’ “Orchestra Archeologica” composta da 8 giovani donne, provenienti da altrettante diverse nazioni, accomunate dallo scopo di salvaguardare e far riscoprire i lavori inediti del periodo d’oro del tango che gravitano intorno alla figura di Rodolfo Sciammarella.
«La nostra proposta - spiega la Sciammarella - è cercare il rinnovamento salvando ciò che la storia lascia da parte. E far emergere il nuovo da lì, da ciò che è stato fatto e non è mai stato toccato o ascoltato».
L’idea nasce in occasione del 40o anniversario della morte di Rodolfo Sciammarella -autore di “La salute, denaro e amore” e “Baci stregoni”, celebre compositore di tanghi e milonghe, denominatoil “francocriollo” del periodo franchista - che ha spinto Denise ad intraprendere questo progetto. In 5 anni di attività, lo Sciammarella Tango ha maturato 2 album e 4 tour internazionali e l’ultima fatica è uno spettacolo di ballo e canto con uno spazio importante dedicato al fachiroBlacaman, interpretato da un valente attore francese.
«Parla dei dettagli della vita di Buenos Aires di quel tempo - prosegue la Sciammarella - che senza il tango del genere sarebbero stati persi. Nel testo si fa riferimento al "fachiro Blacaman" , a "Kalisay" , cose che mi hanno portato ad approfondire l'argomento». La storia del fachiro di origine calabrese ha da sempre affascinato gli addetti ai lavori e non solo. Un personaggio eccentrico, inventivo, ipnotizzatore, capace di catturare l’essenza delle persone con il solo potere dello sguardo. Partendo da un piccolo paese della Calabria, Castrovillari, è riuscito, con talento e tenacia, a conquistare tutto il mondo. Negli anni ’20 e ’30 ha raggiunto la fama con la mise en place di suggestive atmosfere orientali. Con la sua folta chioma riccuita e i suoi occhi neri penetranti, Blacaman sapeva domare le belve feroci, era illusionista, attore e personaggio delle più belle pagine della letteratura mondiale grazie alla penna del premio Nobel, Gabriel GarcìaMàrquez che lo ha tratteggiato nel racconto “Blacamàn il buono, venditore di miracoli”.
La ricerca costante delle radici è la cifra stilistica che contraddistingue lo Sciammarella Tango, giovani donne animate dal sacro fuoco dell’arte che creano spettacoli che hanno l’obiettivo centrato di coniugare passato e presente portando in scena «un pensiero triste che si balla».
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Nella classifica delle “bizzarrie” delle star al decimo posto si piazza il cantante Moby, che durante il tour vuole tantissime mutande nuove.
Prince, nono posto, si fa iniettare della vitamina B-12 prima di ogni concerto, ed ogni oggetto del suo camerino deve essere ricoperto da una pellicola protettiva di plastica.
Lady Ciccone all’ottavo posto è molto attenta all’igiene intima, le tavolette del Wc devono essere nuove ed igienizzate.
La prorompente J-Lo vuole che durante i suoi concerti tutto sia di colore bianco, qualsiasi cosa la circondi, e pretende che il caffè le venga servito in senso antiorario.
Al sesto posto la divina Cher vuole un’apposita stanza per le sue parrucche.
Justin Timberlake al quinto posto è un ipocondriaco dei germi che si annidano sui pomelli delle porte e pretende che vengano tutti disinfettati.
L’attore Will Ferrel si piazza al quarto posto. Durante i suoi spettacoli pretende uno scooter elettrico con ruote arcobaleno e un albero alto quasi 5 metri.
Angelina Germanotta alias Lady Gaga esige un punto vendita di smoothies solo per lei e un manichino con i peli pubici molto vaporosi e di colore rosa.
Il “cattivissimo” Marylin Manson dopo ogni esibizione vuole trovare nel suo camerino una prostituta pallida, calva e senza denti e tanti orsetti gommosi rigorosamente di marca Haribo.
Primo posto per Iggy Pop con una lista lunga 18 pagine. La star, tra le altre cose, vuole una persona che impersonifichi Bob Hope per 7 giorni h24, un articolo di USA Today sugli obesi, e infine i sette nani!
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Puntuale come un soldato al cambio della guardia è tornato su Raiuno l’inossidabile evergreen de “I Migliori Anni”.
Lo show in onda ogni venerdì, capitanato da Carlo Conti con la partecipazione, anche quest’anno, di Anna Tatangelo, ha portato con sé tutto l’armamentario di cui dispose: ballerini, scintillio di luci e colori, annate in lotta tra loro, ospiti vecchi e nuovi, buon’umore e tanta musica, sull’onda della scia - tanto cara agli italiani e allo stesso Conti - di crogiolarsi nel passato visto che il futuro è incerto e neanche poi tanto roseo - in Rai, di questi tempi, tira una pessima aria complice il tetto agli stipendi dei conduttori e le ingerenze della politica nostrana.
Fatto sta che Carlo è tornato. Forte del successo del suo ultimo Sanremo si conferma anche in questa ottava stagione de I Migliori Anni mattatore indiscusso di ascolti e di programmi collaudati che, se da un lato gli consentono di maneggiare con abilità meccanismi oliati alla perfezione, dall’altro lo fanno inciampare nella solita solfa spiattellata in due ore e mezzo di programma. Lo spazio riservato ai “Noi che…” è puro amarcord, carico di quella sottile e neppure tanto velata vena di malinconia che assale chiunque si ritrovi a pensare ai bei tempi andati senza la nostalgia per una millantata perfezione che poi non corrisponde a verità.
Se l’obiettivo era cavalcare l’onda delle rimembranze si poteva mandare in onda Techetecheté, ormai un cult della programmazione estiva, abile ed infimo nel lanciare spezzoni d’antan per poi interromperli sul più bello passando a tutt’altro, senza seguire un filo logico che è la stessa sensazione che si ha guardando la trasmissione di Conti. La Tatangelo è stata rilegata, anche in questa occasione, al ruolo di valletta semi-parlante, privandola dei suoi momenti di canto e ballo con i quali ci aveva deliziato lo scorso anno. Ma si sa, Conti predilige una conduzione asciutta e tendenzialmente in solitaria anche se quelle poche volte in cui si trova a confrontarsi con compagne di viaggio di un certo peso specifico - vedi la Maria nazionale o la Incontrada - ridimensiona di colpo l’ego baudiano di cui è forgiato dimostrando a se stesso ed a noi telespettatori di essere capace di gesti di generosità televisiva.
Ad ogni modo che ci piaccia oppure no, I Migliori Anni continuerà a farci compagnia per molto tempo, perché si sa: programma che sbanca gli ascolti non si cambia. E poco importa se qualcuno di noi gradirebbe una ventata di novità.
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