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Il Nome della Rosa. Prodotto di pregio che non decolla

Martedì, 05 Marzo 2019 17:53 Scritto da  Pubblicato in Tempo Libero Letto 1632 volte
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Il Nome della Rosa, la serie evento tratta dall’omonimo best seller di Umberto Eco è approdata sugli schermi della prima rete nazionale e ci terrà compagnia per quattro puntate, per un totale di otto episodi. L’abbazia benedettina sconvolta da morti inspiegabili e sospette ci trascina in un’atmosfera noir e cupa, tipica del Medioevo, epoca in cui il romanzo è ambientato. Il prode Guglielmo di Baskerville, interpretato da un convincente e pieno di talento John Turturro, giunge presso l’abbazia poiché incaricato dal futuro imperatore Ludovico di Baviera di affrontare la Disputa con la delegazione papale, presieduta dall’inquisitore Bernardo Gui, alias Rupert Everett, incaricato da Papa Giovanni XXII di assicurarsi che sua Santità mantenga, non solo il potere spirituale, ma soprattutto quello temporale. In questo clima di fortissima tensione si stagliano le morti improvvise di svariati monaci benedettini e Guglielmo si ritrova a dovere svolgere l’ingrato compito di venire a capo di un’intricata matassa di morte e dramma dai risvolti tetri. Il francescano si dimostra essere un segugio nello scovare prove, indizi e soprattutto cadaveri. A fare da sfondo a questa carneficina è la biblioteca, vero e proprio labirinto che rischia di risucchiare chiunque vi metta piede. Al seguito di Guglielmo troviamo il giovane Adso da Malek (Damian Hardung), scappato dal padre che lo vorrebbe avviare alla carriera militare, mentre lui sceglie la vita religiosa. La potenza del romanzo di Eco trasuda dai dialoghi e incanta il telespettatore che si lascia condurre nei meandri dei loschi intrighi papali e sacerdotali. Una prosa ipnotica talmente forte da portare a casa il risultato senza apparente sforzo. Ma se così è, perché il Nome della Rosa non riesce a sfondare negli ascolti e bissare il successo de I medici – Lorenzo il Magnifico o dell’Amica Geniale, eccellenti prodotti Rai distribuiti in tutto il mondo che hanno tenuto incollati al teleschermo ben più di quattro milioni di spettatori? Beh, la risposta sarebbe da trovare in un certo qual clima di poca empatia che dalla fiction passa allo spettatore. C’è come una sorta di velo che impedisce di catapultarsi all’interno di quell’abbazia e appassionarsi alla vicenda. E non mi riferisco alle capacità attoriali, peraltro di altissimo livello, e non menzionerò neppure il confronto con la pellicola del 1986 con uno Sean Connery in uno stato di grazia; ma si avverte la mancanza di un certo je ne sais quoi nella sceneggiatura. Una sorta di compassata magnificenza rende le vicende di questi monaci lontane da noi. Le osserviamo con distacco, senza mai entrare troppo in quelli che sono i loro vizi, le loro virtù, le loro emozioni. Una patina di neve, e nella fiction ce n’è tanta, che ammanta tutto e ovatta i nostri occhi e le nostre orecchie. Le immagini scorrono e noi aspettiamo solo che finisca.